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Io resto a casa: l’ambiente domestico nell’arte

Le limitazioni di movimento scelte dal governo italiano per limitare la diffusione del famigerato Covid-19 ci impongono di rimanere in casa. Decisione sofferta ma, a parer mio, corretta, la firma del decreto “Io resto a casa” (in data 9 marzo 2020) estende a tutta Italia i divieti imposti alla Lombardia e ad altre 14 province del Nord Italia il giorno precedente. Sui media (social e non) si assiste a costanti appelli alla responsabilità e al buonsenso. Ma, pensando a quella che è la richiesta che ci viene fatta, è davvero poi così difficile rispettare queste regole?

Nella storia dell’arte sono molte le rappresentazioni di ambienti domestici. Veri e propri luoghi di vita vissuta e non solo stanze per riposare la sera e fare colazione la mattina. In questo periodo vissuto con difficoltà da alcuni, ho deciso di raccogliere alcune opere d’arte che ritraggono ambienti domestici e raccontarvele. Dopotutto, l’arte ci aiuta ad essere più felici (ne parlo qui: Come essere felici: 3 fattori chiave), anche a casa nostra!

Io resto a casa: il decreto

Riporto, per quanto possibile sinteticamente, quelle che sono le limitazioni imposte dal decreto “Io resto a casa” su tutto il territorio nazionale fino al 3 aprile:

  • I cittadini potranno muoversi unicamente per “comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità o spostamenti per motivi di salute”.
  • Vietati gli assembramenti di persone e quindi stop a feste, raduni e stadi.
  • Si deve rispettare ovunque la distanza di almeno un metro tra una persona e l’altra, no a baci, abbracci e strette di mano.
  • Chiusi tutti i cinema, impianti sciistici, musei, teatri, discoteche, palestre e luoghi di svago. Aperti i parchi ma frequentabili solo rispettando le regole.
  • Bar e ristoranti possono aprire dalle 6 alle 18 (ma molti esercenti hanno scelto la chiusura per tutelare sé stessi, i dipendenti e il bene comune).

Potete leggere il decreto per intero nella Gazzetta Ufficiale: decreto 8 marzo (ora esteso a tutta Italia) e decreto “Io resto a casa” del 9 marzo.

Io resto a casa: la solitudine nell’era dell’aperitivo

Limitazione della libertà personale, poca interazione con altre persone del proprio gruppo sociale, difficoltà nel cambiare le proprie abitudini seppur per un breve periodo. Queste sono le obbiezioni poste da chi tra le quattro mura di casa, magari da solo, pensa di non poterci stare.

Chi non ama uscire dall’ufficio e rilassarsi prendendo un aperitivo con gli amici? A chi non piace fare un giro al centro commerciale nei giorni piovosi per comprare vestiti, scarpe e accessori domestici? Potrei continuare all’infinito con queste domande ma il tema è che in questo momento non vi deve importare cosa vi piace fare. State a casa, anche se non vi piace.

Viviamo l’ambiente domestico

A questo proposito, sono troppe le attività casalinghe alle quali, nella vita frenetica delle grandi città, non concediamo abbastanza spazio. Leggete, cucinate (magari un dolce, i dolci ci rendono tutti più sereni!) meditate, sistemate l’armadio e ascoltate musica. Quando finite la vostra giornata lavorativa in smart working mettete via il computer e fate un aperitivo in videochiamata, qualche esercizio a corpo libero in salotto o leggete un libro.

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“L’influsso che l’ambiente può avere sulla nostra vita quotidiana e sulla percezione della felicità è notevole ed è ormai da anni oggetto di studio della psicologia ambientale che si occupa proprio di studiare il comportamento umano e il benessere delle persone in relazione alle caratteristiche fisiche e sociali dei luoghi della vita quotidiana” spiega Mirilia Bonnes, direttore del Centro Interuniversitario di Ricerca in Psicologia Ambientale (CIRPA), presso l’Università di Roma la Sapienza. “Il nesso ambiente-felicità è dovuto a vari processi psicologici che si instaurano nella nostra mente e che contribuiscono al benessere nella vita quotidiana anche in relazione ai luoghi dell’abitare”. (dichiarazioni tratte da un articolo di Centodieci.it)

Proprio la dottoressa Bonnes, in un’intervista al Messaggero di qualche anno fa sosteneva che “All’interno della casa ci sono diversi fattori che possono risultare decisivi… La convivenza deve consentire spazi di autonomia, anche personale. È necessario, in qualsiasi momento, potersi isolare, poter regolare l’accesso degli altri a sé. Questo elemento, importante sempre nella vita delle persone, diventa vitale all’interno della propria casa. La regolazione della privacy è uno dei fattori di soddisfazione della vita quotidiana”.

Quindi, se siete a casa da soli, consideratevi anche fortunati!

L’ambiente domestico nell’arte

Ritratto dei coniugi Arnolfini di Jan van Eyck

Dipinto datato 1434 e conservato alla National Gallery di Londra, è tra le opere meglio conosciute dell’artista e della pittura fiamminga in generale. Tra i più antichi esempi di ritratto privato, questo olio su tavola è caratterizzato da una minuziosa rappresentazione dell’ambiente domestico. Una gran varietà di oggetti sono dipinti con estrema precisione ma quello che, più di tutti attira l’attenzione, è lo specchio. Al centro dell’opera è raffigurato uno specchio convesso che ritrae la coppia di spalle e lascia intravedere altre persone presenti nella stanza.

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A tutt’oggi ancora non è stabilito certamente cosa rappresenti quest’opera enigmatica. La tesi più accreditata (proposta da Erwin Panofsky nel 1934) è quella che si tratti della raffigurazione del matrimonio del mercante Giovanni Arnolfini con la prima moglie Costanza Trenta. Altri teorizzano possa trattarsi di una promessa di matrimonio o di un omaggi del marito alla moglie venuta a mancare prematuramente. In Simboli e allegorie, edito da Electa, si legge anche che “Il dipinto è un’allegoria dell’ideale sociale del matrimonio, portatore di ricchezza, abbondanza, prosperità. Il cane e gli zoccoli rappresentano il motivo della fedeltà coniugale. Le arance sono un augurio di fertilità.”

La Lezione di musica di Jan Vermeer

Dipinto a olio su tela del 1662, é conservato nelle collezioni reali a St. James’s Palace (Londra). La stanza, ampia e inondata di luce, incornicia perfettamente la scena amorosa che il pittore vuole mostrare. La spinetta (lo strumento suonato dalla ragazza) riporta l’iscrizione “La musica è compagna della gioia e balsamo per il dolore.”

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Particolare attenzione viene data, anche in questo caso, ai dettagli della stanza. Dal marmo del pavimento al tappeto che ricopre il tavolo fino al velluto ceruleo della sedia. Particolare anche la posizione dello specchio che, al contrario di quanto realizzato nel ritratto di Jan van Eyck, ci permette di scorgere il viso della giovane dipinta di spalle.

La camera di Vincent ad Arles di Vincent van Gogh

Forse la più celebre tra le opere che raffigurano l’ambiente domestico, la Camera di Vincent ad Arles è stata realizzata in tre versioni. I quadri sono stati dipinti tra il 1888 ed il 1889 e sono conservati presso il Van Gogh Museum di Amsterdam, l’Art Institute of Chicago ed il Museo d’Orsay di Parigi. Van Gogh rappresenta la sua quotidianità nella casa gialla di Arles, dove sperava di allestire un rifugio per artisti. Troviamo nella stanza un attaccapanni con appeso il celebre cappello di paglia con cui l’artista si ritrasse. Ma possiamo ammirare anche due stampe giapponesi, un autoritratto e due sedie vuote.

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L’intenzione di van Gogh è quella di rappresentare il riposo, il sonno, la quiete. “Qui il colore deve fare tutto, e poiché con il suo effetto semplificante conferisce maggiore stile alle cose, esso dovrà suggerire riposo o sonno in generale. In una parola, guardare il quadro deve far riposare il cervello, o piuttosto l’immaginazione […] Questo come una sorta di vendetta per il riposo forzato al quale sono stato obbligato.”

Interno (La Mia Sala da Pranzo) di Vassily Kandinsky

Il quadro, datato 1909 e conservato alla Galleria Lenbachhaus di Monaco di Baviera, non è certo tra i più noti dell’artista. Probabilmente realizzata nel periodo in cui Kandinsky sperimenta un utilizzo violento ed antinaturalistico del colore, l’opera presenta ancora soggetti ben delineati e definiti. Sarà solo dopo un paio d’anni (1911) che l’artista esporrà le sue prime opere astratte in una mostra personale a Berlino.

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In questa stanza riconosciamo molti dettagli tra i quali il tavolo, la sedia, il calorifero e un cestino colmo di frutta. Potrebbe essere la sala da pranzo di chiunque. Con un po’ di fantasia, potrebbe essere la nuova versione (super colorata ma metaforica) del nostro ambiente domestico!

Io resto a casa!

Spero vi sia piaciuta questa piccola divagazione sul tema dell’ambiente domestico nell’arte, se avete suggerimenti riguardo ad altre opere da inserire nell’articolo saranno molto apprezzati. Spero anche vi sia servito a trovare una prospettiva diversa dalla quale guardare la vostra casa, forse più romantica, magari più colorata.

E se ancora non siete convinti di poter ricavare qualcosa di buono da quest’imposizione… Ricordate, ai nostri nonni hanno imposto di andare in guerra, a noi viene solo chiesto di stare sul divano!

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Notre Dame brucia: il simbolo di una generazione

Notre Dame brucia. Il simbolo di una generazione illusa, disillusa, delusa, maltrattata è crollato. Spento l’incendio,  si sono accese le polemiche.

La Cattedrale parigina versava da anni in condizioni preoccupanti, proprio dalle impalcature posizionate per un’operazione di restauro dell’edificio pare abbia avuto origine l’incendio che il 15 aprile 2019 ha trafitto non solo il cuore di Parigi ma il cuore di una generazione che ha assistito impotente al crollo della guglia centrale e parte del tetto di Notre Dame.

I maggiori media mondiali hanno informato, discusso e alimentato le polemiche scaturite dall’incendio (dalla mala gestione statale del monumento negli anni alla velocità con cui potenti e industriali si sono proposti quali finanziatori del nuovo, e quanto mai ingente, restauro che riporterà Notre Dame al suo antico splendore) ma nessuno di loro si è concentrato sulla valenza simbolica che Notre Dame ha assunto per un’intera generazione.

Generazione caratterizzata oggi dalla deriva sociale e ideologica, la truppa illusa, disillusa, delusa, maltrattata dei cosiddetti Millenials (i nati tra gli anni ’80 e ‘90 nei Paesi occidentali) ha scoperto Parigi grazie al romantico film d’animazione prodotto dalla Disney (Capolista nella top 10 stilata nel 2017 da Reputation Institute Italia delle aziende più amate dagli italiani, la Disney perde il primato in favore di Amazon nella classifica dei Millenials che preferiscono, oggi, la realtà ai sogni – ne parlo qui) nel 1996: “Il gobbo di Notre Dame”.

Personaggio positivo, il gobbo Quasimodo (ideato da Victor Hugo per il suo “Notre-Dame de Paris” del 1831) è cresciuto isolato da una società che non può accettarlo, interagendo unicamente con un tutore il cui unico scopo è denigrarlo e con la cattedrale di Notre Dame, sua unica e migliore amica rappresentata dai tre gargoyles di pietra animati e ciarlieri. Ed è stato proprio allora che ci siamo innamorati di lei, che abbiamo iniziato ad ammirare con affetto quelle fredde pietre che portavano in dote nove secoli di storia d’Europa. Nel momento esatto in cui abbiamo iniziato ad amarla, nell’attimo in cui la monumentale cattedrale divenne nel nostro immaginario l’allegro ciarlare di Quasimodo con i suoi amici (la sua amica) Notre Dame è diventata uno dei simboli della nostra generazione.

Vignetta "Quasimodo abbraccia Notre Dame" disegnata dall’artista Cristina Correa Freile
Vignetta “Quasimodo abbraccia Notre Dame” disegnata dall’artista Cristina Correa Freile

I Millenials, come non accadeva dall’epoca dei baby boomer (i nati tra gli anni ’50 e ’60, cresciuti tra le amorevoli braccia del boom economico che videro moltiplicarsi le opportunità che avevano caratterizzato la condizione dei propri padri) hanno sperimentato un repentino shock tra le prospettive socio economiche preventivate ed esposte candidamente loro dalle generazioni che li precedevano e la realtà. Per la prima volta da decenni, l’avanzamento è quasi precluso, molto più probabile invece che si verifichi una condizione di arretramento socio economico rispetto alla condizione dei proprio padri o, peggio, si rimanga incastrati, galleggianti nullafacenti, aspiranti al nuovo e scintillante reddito di cittadinanza, ombre NEET (neither in employment nor in education and training – Non impegnati nello studio, nella propria formazione, in un lavoro o nella ricerca di esso).

E così ci siamo illusi, siamo stati cullati dalle fiabe, poi ci siamo impegnati, siamo diventati sicuri e arroganti e, prima che succedesse a Notre Dame, le nostre velleità sono crollate in un cumulo di polvere, sepolte da quei muri in fiamme che non abbiamo potuto varcare. Notre Dame brucia. Notre Dame sarà ricostruita dai soldi dei potenti. E la nostra polvere sarà spazzata via.

Giornata Mondiale dell’Ambiente 2017: l’impatto dell’alimentazione umana

Proclamata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite 45 anni fa (nel 1972), il 5 giugno di ogni anno ricorre la Giornata Mondiale dell’Ambiente, dedicata nel 2017 alla connessione tra la natura e l’uomo.

In base ai dati dell’indagine Waste Watchers presentati da Last Minute Market, oltre l’80% degli italiani si dichiara ambasciatore della cultura green (ovvero disposto a farsi carico del cambiamento necessario) e acerrimo nemico dello spreco alimentare: il 91% degli intervistati la considera cosa grave o gravissima e ben il 96% dichiara di insegnare ai figli a non sprecare.

Quel che manca pare essere la consapevolezza riguardo alla situazione attuale: 3 intervistati su 4 incolpano la filiera di produzione/distribuzione e gli esercizi di ristorazione di produrre enormi sprechi quando, stando alla realtà dei fatti, il 60/70% dello spreco alimentare avviene nelle case ed è pari a circa 16 miliardi annui (1% del pil).

Per quanto riguarda gli sprechi alla fonte (produzione, distribuzione e ristorazione), è stata approvata pochi mesi fa dal parlamento italiano la Legge Antisprechi, un sistema premiante per chi dona l’eccedenza alimentare, di farmaci e vestiario, basato su incentivi (riduzione dell’importo della tessa sui rifiuti) e semplificazioni burocratiche.

Sembra evidente, oggi più che mai, che la volontà di fare la cosa giusta rischia di rimanere solo una dichiarazione d’intenti, sostenuta dalla mala informazione che spinge le persone ad incolpare qualcun altro di un torto del quale esse stesse sono inconsapevolmente colpevoli. Facile puntare il dito. Facile essere ambasciatori green se il nostro compito è spingere altri a cambiare. Difficile è cambiare noi stessi e le nostre abitudini.

Lo spreco alimentare casalingo è, come noto, solo una delle cause che rendono l’alimentazione umana non più sostenibile per il pianeta, altra problematica che necessita di maggiore attenzione è quella del consumo di carne ed, in particolare, della presenza di allevamenti intensivi di animali.

allevamento suini

“Quella di oggi è la prima generazione ad avere piena consapevolezza che ogni scelta comporta delle conseguenze. E’ tempo di decidere tra la vita e la morte e scegliere di seguire la corrente significa scegliere la morte.”

Frances Moore Lappé, attivista e scrittrice statunitense

Il dato sconvolgente del quale la maggior parte delle persone paiono tutt’ora essere all’oscuro – nonostante sia presente addirittura nella popolarissima Wikipedia – è che per produrre un chilo di carne da immettere sul mercato sono necessari tra i 14 e i 20 chili di cereali e leguminose.

allevamento mucche

“Gli allevamenti sono fabbriche di proteine alla rovescia”.

Frances Moore Lappé, attivista e scrittrice statunitense

Agli allevamenti intensivi e al loro legame con il collasso ambientale si sono interessati recentemente diversi studiosi e scrittori; ogni anno vengono pubblicati libri, realizzate nuove ricerche ed emergono evidenze a sostegno dell’adozione di una dieta vegetariana o vegana che consenta al pianeta di continuare a vivere. Tra i parametri considerati più importanti: il consumo di acqua e le emissioni di CO2.

allevamento polli

Ad esempio, la ricerca italiana del 2006 “Valutazione dell’impatto ambientale di diverse tipologie di alimentazione” ha determinato che una dieta vegetariana ha un impatto ambientale di 1,8 volte superiore rispetto ad una dieta vegana mentre un alimentazione onnivora che rispetti parametri dietetici consigliati arriverebbe quasi a triplicare l’impatto di una dieta che rifiuti carne e derivati. Lo studio puntualizza che, nel 2006, la dieta scorretta adottata mediamente dagli italiani risultava avere un impatto di 6,7 volte superiore rispetto a quella di un vegano.

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 “Pensare di avere più diritto a mangiare un animale di quanto ne abbia l’animale a vivere senza soffrire è una depravazione. Non sono ragionamenti astratti. È questa la realtà in cui viviamo. Guarda che cosa sono gli allevamenti intensivi. Guarda che cos’ha fatto la nostra società agli animali non appena ne ha avuto il potere tecnologico. Guarda che cosa facciamo effettivamente in nome del «benessere degli animali» e del «trattamento umano», e poi decidi se sei ancora disposto a mangiare carne.. E allora quanta sofferenza è accettabile? È questa la base di tutto, ed è questo che ognuno di noi deve chiedersi. Quanta sofferenza sei disposto a tollerare per il tuo cibo?”

Jonathan Safran Foer, scrittore e saggista statunitense

Meno sogni, più realtà: i Millennials alla ricerca del futuro

Il Reputation Institute Italia ha presentato il 6 aprile a Milano la classifica stilata in base alla reputazione di cui le aziende godono nel nostro Paese. Oltre a risultare da subito esterofila, la top 10 italiana (che di nostrani conta solo 4 nomi) è caratterizzata da una valutazione positiva dei brand più legati all’infanzia (Disney e LEGO), ai peccati di gola (Ferrero), ai sogni (chi non vorrebbe una Ferrari testa rossa in garage?!):

  1. The Walt Disney Company (85,4)
  2. Ferrero (84,7)
  3. Ferrari (84,2)
  4. LEGO Group (83,7)
  5. Amazon (82,1)

Gli italiani ne escono come un popolo di sognatori, che valuta meglio il bello, ciò che regala gioia, che riporta all’infanzia.

E poi ci sono i Millennials. Noi nati tra il 1980 e il 2000, che secondo diverse ricerche diventeremo a breve il gruppo di consumatori più consistente (attualmente il primato rimane ai baby boomer), abbiamo, però, scelto un’azienda di tutt’altro tipo, una compagnia che non regala sogni ma fornisce realtà, rende qualsiasi prodotto alla nostra portata e disponibile in tempi brevissimi. Vincitrice del premio “Best for Millennials”, novità introdotta quest’anno da Reputation Institute per premiare quelle aziende che godono della miglior reputazione tra gli italiani di 18-34 anni, è Amazon.

Da questo percorso di allontanamento dei millennials dall’opinione comune si può partire per fare alcune riflessioni sulla forma mentis di questa generazione, su cosa ci sia successo, su cosa ci stia ancora succedendo, su come potranno andare le cose in futuro.

Cosa ci è successo – Mi è stato detto che potevo diventare chiunque io volessi, mi è stato insegnato che sei tu a scegliere la tua strada, che qualsiasi strada è percorribile e che i risultati sarebbero dipesi unicamente da quanto ti saresti impegnato. Sono cresciuta imparando il concetto chiave della generazione dei baby boomer (i nati tra il 1945 e il 1965): più grande sarà il tuo impegno e maggiore sarà il tuo successo.

Cosa ci sta succedendo – Questa prospettiva si è presto scontrata con la realtà attuale nella quale la preparazione e l’impegno non bastano. La chiave per il successo è decisamente cambiata e, purtroppo, non è ancora nota. Pur non mancando brillanti e/o fortunate eccezioni, il 62% dei giovani tra i 18 e i 34 anni vive ancora con i genitori (siamo mammoni sì, ma abbiamo anche uno stipendio medio di molto inferiore a quello delle generazioni precedenti) e il tasso di occupazione di un laureato di 30-34 anni è passato dal 79,5% del 2005 al 73,7% del 2016.

Il futuro – Crediamo nel futuro. Ma soprattutto crediamo nello spirito di adattamento. La generazione dei Millennials è quella del cambiamento, della capacità di cavarsela in ogni situazione, di non pensare al lavoro fisso, alla casa, alla famiglia ma a stare bene ed essere felici di quello che si riesce ad ottenere con le proprie forze.

Se è vero che il processo di adattamento alla situazione attuale (ad un ambiente ostile?!) della categoria dei Millennials è ancora in atto, è anche certo che, una volta portato a termine, questo cambiamento darà modo alle generazioni future di vivere con una maggiore consapevolezza, di non dare nulla per scontato, di conoscere la grande arte della resilienza, di vivere secondo dei valori dimenticando il concetto di identità collettiva e omologazione tipico dei periodi di boom economico.

L’acqua: una questione ambientale e socio-economica

La Giornata Mondiale dell’Acqua, istituita dalle Nazioni Unite nel 1992 e che ricorre ogni 22 marzo, è un’occasione per riflettere sulla situazione del pianeta da un punto di vista ambientale, sociale ed economico.

L’acqua lega tutti e tutto a doppio filo, senza di essa non esisterebbe la vita, non sarebbe possibile abitare il pianeta e non si avrebbero le risorse per la creazione di un sistema economico anche solo di piccola scala. Ma, ormai troppo spesso, l’acqua viene data per scontata: si discute del consumo di suolo, delle ingiustizie sociali che affliggono parti del pianeta, della globalizzazione che sta, inesorabilmente, allargando la forbice della diseguaglianza economica. In pochi parlano della situazione dei nostri mari e dei nostri ghiacciai, della mancanza di acqua che colpisce alcune popolazioni del mondo e dello spreco che se ne fa in altre, dell’abnorme necessità idrica delle industrie e degli allevamenti.

L’edizione 2017 della Giornata Mondiale dell’Acqua è dedicata alla questione delle acque reflue, ovvero quelle contaminate da attività domestiche, industriali e agricole. Obiettivo dell’Onu sarebbe quello di “migliorare entro il 2030 la qualità dell’acqua eliminando le discariche, riducendo l’inquinamento e il rilascio di prodotti chimici e scorie pericolose, dimezzando la quantità di acque reflue non trattate e aumentando considerevolmente il riciclaggio e il reimpiego sicuro a livello globale”.

Come per molte altre tematiche di rilievo, il mio primo invito è quello di informarsi, leggere, chiedere, discutere. Ma, nel frattempo, alcuni consigli:

Mangia meno carne e pesce (o scegli una vita veg): il consumo di acqua degli esseri umani, o impronta idrica (dall’inglese water footprint), legato al cibo è circa l’85% del totale (il 10% alla produzione industriale e il 5% al consumo domestico). Di conseguenza, se si vuole ridurre il proprio impatto personale, è utile sapere che i prodotti derivati dagli animali hanno un’impronta idrica maggiore rispetto a quelli vegetali, a causa dell’acqua impiegata per produrre il foraggio.

Poni attenzione a quello che fai: chiudi l’acqua quando ti lavi i denti, fatti la doccia e non il bagno (che giova anche alla circolazione), fai la lavatrice solo a pieno carico, non usare detergenti aggressivi e preferisci i rimedi della nonna per pulire casa. Sono solo alcune piccole cose tra quelle e che puoi fare senza sforzo e che possono venirti in mente se poni attenzione..

Esercitare il consumo critico: in questi ultimi anni alcune aziende, spinte dalle pressioni esercitate dall’opinione pubblica, si stanno muovendo verso una politica di riduzione dello spreco idrico. A questo proposito rimando ad un interessante analisi di Lifegate che cita Fiat Chrysler Automobiles ed Enel come le virtuose italiane.

“Vegano” tra le parole più cercate nel 2016 su Google

Vegano? Vegetariano? Pescetariano? O fruttariano? Gli stili di vita che legano etica ed alimentazione sono tantissimi ma quello che più incuriosisce è il veganismo. Vegan Society ne da una definizione molto chiara: “La parola veganismo descrive una filosofia di vita che esclude – per quanto possibile – ogni forma di sfruttamento e crudeltà contro gli animali per alimentarsi, vestirsi o per qualsiasi altro scopo”.

Il vegano non mangia nessun animale ne si alimenta dei derivati animali. Per derivati si intendono quei prodotti che causano (o possono causare) sofferenza e sfruttamento degli animali.

Il vegano non mangia:

carne: bianca, rossa, cruda, cotta, di pesce, di insetto, di umano e di qualsiasi altro tipo.

pesce: so di averlo già scritto ma in troppi differenziano tra carne di pesce e carne di tutti gli altri animali, quindi meglio specificare.

uova: la “produzione” di uova sottopone le galline (e i pulcini maschi) a sevizie e morte precoce, di conseguenza il vegano non ne consuma.

latte e latticini: oltre al fatto che un mammifero non dovrebbe cibarsi di latte dopo lo svezzamento (soprattutto se proveniente da una mamma di un’altra specie animale), questi prodotti causano sofferenze ai cuccioli (che rimangono senza cibo e devono anticipare lo svezzamento) e alle mamme (che vengono ingravidate continuamente per poter dare latte oltre i limiti naturali).

Miele: i vegani ritengono che la produzione di miele implichi lo sfruttamento e la sottrazione di cibo alle api.

Il vegano mangia: la lista è troppo lunga, ma per rassicurare i curiosi del fatto che i vegani non si cibano solo di verdure vi fornirò qualche esempio.

verdure: tutte.

frutta: tutta.

legumi: tutti.

cereali: tutti.

grassi: tutti i tipi di olio, margarina e i grassi della frutta (ad esempio avocado e datteri)

quelle cose strane mai sentite nominare (ma che trovi sullo scaffale del supermercato sotto casa): tofu, seitan, tempeh, miglio, alghe, soia (latte, yogurt, formaggi e tanto altro), germogli di ogni genere, miso, lievito in scaglie, semi di canapa etc. etc..

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Pensate alla cucina tradizionale italiana (la migliore del mondo), molti dei piatti che propone sono vegetariani ed alcuni sono del tutto vegan. Qualche esempio: pesto genovese, ribollita toscana, carciofi alla romana, pasta e fagioli, orecchiette e cime di rapa pugliesi, caponata siciliana, polenta e funghi lombarda, pasta aglio, olio e peperoncino.

 

Il primo post

Chiunque abbia mai tentato la dura e ambita strada del blogger sa quanto sia difficile scrivere il primo post. L’incertezza deriva da una serie di ragioni e dubbi che attanagliano la mente del povero novello blogger, in primis: agli altri che gli frega?!

Per uscire dall’ovvio e dal gergale, vorrei dedicare questo primo post al motivo per il quale ad altre persone dovrebbe importare di seguire questo blog: l’informazione.

L’informazione che si intende fornire agli utenti è:

  • SINCERA: non vi sarà mai detto che il cielo non è blu
  • OPEN MINDED: vi hanno mai spiegato che il cielo non è blu ma lo vediamo così a causa della rifrazione della luce del sole nell’atmosfera terrestre?
  • DIRETTA: non troverete mai giri di parole incomprensibili e strani post prefabbricati per vendervi qualcosa
  • CRITICA: potersi permettere di criticare qualcosa vuol dire conoscerla a fondo e dunque il fine ultimo dell’informazione è la critica

Il primo post di un blog deve inevitabilmente far pensare chi lo legge, attirare la sua attenzione, rimanere impresso nella mente. Il primo post deve essere accattivante ma ben indicizzato, diretto ma articolato ed, oltre a tutto ciò, il primo post deve contenere ciò che sul web cattura di più:

#POLITICA – potrà anche capitare che se ne parli.

renzi

#CUCINA – ne parleremo tranquilli, ma solo se buona, sana e vegetariana.

cucina

#GATTINI – no, mi rifiuto categoricamente.

gattini