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Libri da leggere per la Giornata del libro

Il 24 aprile è la Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore, istituita nel 1996 e patrocinata dall’UNESCO. L’obiettivo della Giornata del libro è quello di promuovere la lettura, di incoraggiare le persone a scegliere dei libri da leggere in base ai propri interessi. Che tu sia appassionato di letteratura fantascientifica, di gialli, di grandi classici o romanzi contemporanei, hai a disposizione migliaia di libri da leggere in quarantena.

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Cecità, capolavoro distopico tra i libri da leggere

Romanzo scritto dal premio Nobel per la letteratura portoghese José Saramago, Cecità esplora il concetto dell’indifferenza umana. Per la giornata del libro ti consiglio di leggere la storia di questa città dove iniziano a verificarsi strani avvenimenti che stravolgeranno la vita così come la conosciamo. Alcuni abitanti vengono colpiti da una strana forma di cecità e, di conseguenza, rinchiusi dalle autorità che temono un’epidemia… Senza troppi giri di parole, non vi sembra perfetto come titolo tra i libri da leggere in quarantena?

Saramago ha scritto anche il seguito di quest’opera per continuare il suo viaggio nella mente umana attraverso personalismi e paure. Saggio sulla lucidità approfondisce il rapporto del popolo con le figure appartenenti al governo così come Cecità sviscerava i rapporti tra piccoli gruppi sociali. Nella Giornata mondiale del libro non dovrebbe mai mancare un capolavoro da Premio Nobel. Saramago è stato premiato per la sua capacità di “afferrare una realtà elusiva […] con parabole sostenute da immaginazione, compassione e ironia”.

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Libri da leggere per “Buonisti”

La piccola casa editrice italiana People si dà l’obiettivo di raccontare persone, battaglie e trasformazioni. Tra queste il libro Buonisti di Jacopo Melio, attivista conosciuto per aver fondato #VorreiPrendereilTreno.  Questa onlus sensibilizza su temi quali la disabilità, l’inclusione e l’abbattimento delle barriere architettoniche (e culturali!) Un’altra voce della casa editrice è quella di Espérance Hakuzwimana Ripanti, scrittrice italiana nata in Ruanda e cresciuta in provincia di Brescia. Ma non solo, con People ha pubblicato anche la senatrice Liliana Segre.

  • I Buonisti sono quelle persone che cercano di farsi spazio in una società affetta da razzismo, egoismo e fascismo. In questo libro Melio racconta gli attacchi da lui subiti (come spesso capita ai “buonisti”) e li raccoglie in una lista surreale che ci ricorda di rimanere umani, ogni giorno. Assolutamente tra i libri da leggere in quarantena, Buonisti aiuta a pensare, aiuta ad uscire di nuovo di casa ma come persone migliori.
  • E poi basta. Manifesto di una donna nera italiana è il racconto personale di Espérance Hakuzwimana Ripanti, della sua vita cominciata in Ruanda e continuata in Italia. È la storia degli ostacoli incontrati, dei compagni di viaggio e della lotta per trovare la propria voce di una donna nera italiana.
  • Liliana Segre. Il mare nero dell’indifferenza è una testimonianza della Senatrice Segre, espulsa dalla scuola, clandestina e deportata ad Auschwitz. Negli ultimi trent’anni, diventata nonna, la Segre ha promosso una straordinaria campagna contro l’indifferenza e contro il razzismo. Un messaggio di speranza rivolto ai giovani, suoi “nipoti ideali”, perché non si perdano mai i diritti e il rispetto per le persone.

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Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare

Luis Sepúlveda, amato scrittore e attivista cileno recentemente scomparso, ci ha lasciato molti romanzi, racconti e poesie. Tra i più celebri vi è Storia di una gabbianella e del gatto che le insegno a volare. Da questo romanzo, tra i libri da leggere almeno una volta nella vita, è stato tratto il film d’animazione “La gabbianella e il gatto”. La storia dell’orfana gabbianella Fortunata, cresciuta dal gatto Zorba tra mille difficoltà è commovente, semplice, diretta. «Sepúlveda costruisce con la consueta maestria letteraria un mondo dove aiutare chi è in difficoltà è il valore supremo.» dalla critica di Bruno Arpaia.

«Sull’orlo del baratro ha capito la cosa più importante» miagolò Zorba. «Ah sì? E cosa ha capito?» chiese l’umano. «Che vola solo chi osa farlo» miagolò Zorba.

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Harry Potter, tutti i libri da leggere in quarantena

La saga creata da J.K. Rowling si trova, ormai da decenni, in vetta a tutte le classifiche di vendita. Tra i libri da leggere assolutamente nella vita, quelli che raccontano le avventure di Harry, Ermione e Ron non possono mancare! Si tratta di una saga di sette libri, perfetta per chi vuole scoprire un nuovo mondo fantasioso e straordinariamente coinvolgente. Il maghetto Harry Potter, amato da grandi e bambini, combatterà contro il crudele mago oscuro Voldemort per salvare tutto il mondo dei maghi. Adatta anche a chi non ha l’abitudine di leggere, la saga di Harry Potter è super consigliata per chiunque voglia aderire alla Giornata del libro!

Una saga letteraria capace di conquistare qualsiasi lettore, Harry Potter crea una commistione perfetta tra realtà e fantasia. “Certo che sta succedendo dentro la tua testa, Harry. Ma perché diavolo dovrebbe voler dire che non è vero?” (citazione: Silente in Harry Potter e i Doni della Morte).

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L’amica geniale, il fenomeno da ri-leggere per la Giornata del libro

Tra i libri da leggere in quarantena per la giornata mondiale del libro non poteva mancare L’amica geniale, fenomeno tutto italiano. La serie di 4 romanzi è stata scritta da Elena Ferrante (pseudonimo) e letta da 12 milioni di persone nel mondo. La serie è composta da L’amica geniale, Storia del nuovo cognome, Storia di chi fugge e di chi resta e da Storia della bambina perduta. La storia, ambientata a Napoli negli anni ’50, è quella di Lenù e Lila, due ragazze molto diverse unite da una grande amicizia.

La Ferrante pone l’accento sui sentimenti e sui cambiamenti delle sue protagoniste tessendo una trama incentrata sulla vita delle donne. Dai libri è tratta una serie realizzata in Italia e trasmessa in molti paesi del mondo. Tra le nuove letture più interessanti del decennio, L’amica geniale non poteva mancare nelle proposte dedicate alla Giornata del libro.

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Io resto a casa: l’ambiente domestico nell’arte

Le limitazioni di movimento scelte dal governo italiano per limitare la diffusione del famigerato Covid-19 ci impongono di rimanere in casa. Decisione sofferta ma, a parer mio, corretta, la firma del decreto “Io resto a casa” (in data 9 marzo 2020) estende a tutta Italia i divieti imposti alla Lombardia e ad altre 14 province del Nord Italia il giorno precedente. Sui media (social e non) si assiste a costanti appelli alla responsabilità e al buonsenso. Ma, pensando a quella che è la richiesta che ci viene fatta, è davvero poi così difficile rispettare queste regole?

Nella storia dell’arte sono molte le rappresentazioni di ambienti domestici. Veri e propri luoghi di vita vissuta e non solo stanze per riposare la sera e fare colazione la mattina. In questo periodo vissuto con difficoltà da alcuni, ho deciso di raccogliere alcune opere d’arte che ritraggono ambienti domestici e raccontarvele. Dopotutto, l’arte ci aiuta ad essere più felici (ne parlo qui: Come essere felici: 3 fattori chiave), anche a casa nostra!

Io resto a casa: il decreto

Riporto, per quanto possibile sinteticamente, quelle che sono le limitazioni imposte dal decreto “Io resto a casa” su tutto il territorio nazionale fino al 3 aprile:

  • I cittadini potranno muoversi unicamente per “comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità o spostamenti per motivi di salute”.
  • Vietati gli assembramenti di persone e quindi stop a feste, raduni e stadi.
  • Si deve rispettare ovunque la distanza di almeno un metro tra una persona e l’altra, no a baci, abbracci e strette di mano.
  • Chiusi tutti i cinema, impianti sciistici, musei, teatri, discoteche, palestre e luoghi di svago. Aperti i parchi ma frequentabili solo rispettando le regole.
  • Bar e ristoranti possono aprire dalle 6 alle 18 (ma molti esercenti hanno scelto la chiusura per tutelare sé stessi, i dipendenti e il bene comune).

Potete leggere il decreto per intero nella Gazzetta Ufficiale: decreto 8 marzo (ora esteso a tutta Italia) e decreto “Io resto a casa” del 9 marzo.

Io resto a casa: la solitudine nell’era dell’aperitivo

Limitazione della libertà personale, poca interazione con altre persone del proprio gruppo sociale, difficoltà nel cambiare le proprie abitudini seppur per un breve periodo. Queste sono le obbiezioni poste da chi tra le quattro mura di casa, magari da solo, pensa di non poterci stare.

Chi non ama uscire dall’ufficio e rilassarsi prendendo un aperitivo con gli amici? A chi non piace fare un giro al centro commerciale nei giorni piovosi per comprare vestiti, scarpe e accessori domestici? Potrei continuare all’infinito con queste domande ma il tema è che in questo momento non vi deve importare cosa vi piace fare. State a casa, anche se non vi piace.

Viviamo l’ambiente domestico

A questo proposito, sono troppe le attività casalinghe alle quali, nella vita frenetica delle grandi città, non concediamo abbastanza spazio. Leggete, cucinate (magari un dolce, i dolci ci rendono tutti più sereni!) meditate, sistemate l’armadio e ascoltate musica. Quando finite la vostra giornata lavorativa in smart working mettete via il computer e fate un aperitivo in videochiamata, qualche esercizio a corpo libero in salotto o leggete un libro.

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“L’influsso che l’ambiente può avere sulla nostra vita quotidiana e sulla percezione della felicità è notevole ed è ormai da anni oggetto di studio della psicologia ambientale che si occupa proprio di studiare il comportamento umano e il benessere delle persone in relazione alle caratteristiche fisiche e sociali dei luoghi della vita quotidiana” spiega Mirilia Bonnes, direttore del Centro Interuniversitario di Ricerca in Psicologia Ambientale (CIRPA), presso l’Università di Roma la Sapienza. “Il nesso ambiente-felicità è dovuto a vari processi psicologici che si instaurano nella nostra mente e che contribuiscono al benessere nella vita quotidiana anche in relazione ai luoghi dell’abitare”. (dichiarazioni tratte da un articolo di Centodieci.it)

Proprio la dottoressa Bonnes, in un’intervista al Messaggero di qualche anno fa sosteneva che “All’interno della casa ci sono diversi fattori che possono risultare decisivi… La convivenza deve consentire spazi di autonomia, anche personale. È necessario, in qualsiasi momento, potersi isolare, poter regolare l’accesso degli altri a sé. Questo elemento, importante sempre nella vita delle persone, diventa vitale all’interno della propria casa. La regolazione della privacy è uno dei fattori di soddisfazione della vita quotidiana”.

Quindi, se siete a casa da soli, consideratevi anche fortunati!

L’ambiente domestico nell’arte

Ritratto dei coniugi Arnolfini di Jan van Eyck

Dipinto datato 1434 e conservato alla National Gallery di Londra, è tra le opere meglio conosciute dell’artista e della pittura fiamminga in generale. Tra i più antichi esempi di ritratto privato, questo olio su tavola è caratterizzato da una minuziosa rappresentazione dell’ambiente domestico. Una gran varietà di oggetti sono dipinti con estrema precisione ma quello che, più di tutti attira l’attenzione, è lo specchio. Al centro dell’opera è raffigurato uno specchio convesso che ritrae la coppia di spalle e lascia intravedere altre persone presenti nella stanza.

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A tutt’oggi ancora non è stabilito certamente cosa rappresenti quest’opera enigmatica. La tesi più accreditata (proposta da Erwin Panofsky nel 1934) è quella che si tratti della raffigurazione del matrimonio del mercante Giovanni Arnolfini con la prima moglie Costanza Trenta. Altri teorizzano possa trattarsi di una promessa di matrimonio o di un omaggi del marito alla moglie venuta a mancare prematuramente. In Simboli e allegorie, edito da Electa, si legge anche che “Il dipinto è un’allegoria dell’ideale sociale del matrimonio, portatore di ricchezza, abbondanza, prosperità. Il cane e gli zoccoli rappresentano il motivo della fedeltà coniugale. Le arance sono un augurio di fertilità.”

La Lezione di musica di Jan Vermeer

Dipinto a olio su tela del 1662, é conservato nelle collezioni reali a St. James’s Palace (Londra). La stanza, ampia e inondata di luce, incornicia perfettamente la scena amorosa che il pittore vuole mostrare. La spinetta (lo strumento suonato dalla ragazza) riporta l’iscrizione “La musica è compagna della gioia e balsamo per il dolore.”

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Particolare attenzione viene data, anche in questo caso, ai dettagli della stanza. Dal marmo del pavimento al tappeto che ricopre il tavolo fino al velluto ceruleo della sedia. Particolare anche la posizione dello specchio che, al contrario di quanto realizzato nel ritratto di Jan van Eyck, ci permette di scorgere il viso della giovane dipinta di spalle.

La camera di Vincent ad Arles di Vincent van Gogh

Forse la più celebre tra le opere che raffigurano l’ambiente domestico, la Camera di Vincent ad Arles è stata realizzata in tre versioni. I quadri sono stati dipinti tra il 1888 ed il 1889 e sono conservati presso il Van Gogh Museum di Amsterdam, l’Art Institute of Chicago ed il Museo d’Orsay di Parigi. Van Gogh rappresenta la sua quotidianità nella casa gialla di Arles, dove sperava di allestire un rifugio per artisti. Troviamo nella stanza un attaccapanni con appeso il celebre cappello di paglia con cui l’artista si ritrasse. Ma possiamo ammirare anche due stampe giapponesi, un autoritratto e due sedie vuote.

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L’intenzione di van Gogh è quella di rappresentare il riposo, il sonno, la quiete. “Qui il colore deve fare tutto, e poiché con il suo effetto semplificante conferisce maggiore stile alle cose, esso dovrà suggerire riposo o sonno in generale. In una parola, guardare il quadro deve far riposare il cervello, o piuttosto l’immaginazione […] Questo come una sorta di vendetta per il riposo forzato al quale sono stato obbligato.”

Interno (La Mia Sala da Pranzo) di Vassily Kandinsky

Il quadro, datato 1909 e conservato alla Galleria Lenbachhaus di Monaco di Baviera, non è certo tra i più noti dell’artista. Probabilmente realizzata nel periodo in cui Kandinsky sperimenta un utilizzo violento ed antinaturalistico del colore, l’opera presenta ancora soggetti ben delineati e definiti. Sarà solo dopo un paio d’anni (1911) che l’artista esporrà le sue prime opere astratte in una mostra personale a Berlino.

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In questa stanza riconosciamo molti dettagli tra i quali il tavolo, la sedia, il calorifero e un cestino colmo di frutta. Potrebbe essere la sala da pranzo di chiunque. Con un po’ di fantasia, potrebbe essere la nuova versione (super colorata ma metaforica) del nostro ambiente domestico!

Io resto a casa!

Spero vi sia piaciuta questa piccola divagazione sul tema dell’ambiente domestico nell’arte, se avete suggerimenti riguardo ad altre opere da inserire nell’articolo saranno molto apprezzati. Spero anche vi sia servito a trovare una prospettiva diversa dalla quale guardare la vostra casa, forse più romantica, magari più colorata.

E se ancora non siete convinti di poter ricavare qualcosa di buono da quest’imposizione… Ricordate, ai nostri nonni hanno imposto di andare in guerra, a noi viene solo chiesto di stare sul divano!

Milano: arte, storia, cultura e curiosità

Milano, conosciuta come capitale della moda e città d’affari per eccellenza, popolata di manager e trendsetter, fredda e nebbiosa, è in realtà uno scrigno di tesori d’arte, storia e cultura. Dal Duomo, la chiesa gotica più grande del mondo, a San Maurizio al Monastero Maggiore, decorata da cinquemila metri quadri di affreschi, dal Cenacolo, capolavoro di Leonardo da Vinci, alla Pietà Rondanini, ultima opera di Michelangelo, passando per i celebri Navigli, le leggiadre ville Liberty e le straordinarie collezioni dei musei fino ad arrivare al Castello Sforzesco, Milano offre infinite possibilità agli amanti del turismo culturale.

Duomo di Milano
Duomo di Milano

Milano è conosciuta in tutto il mondo per il suo straordinario Duomo, una selva di pinnacoli, statue ed archi rampanti, un racconto monumentale di oltre sei secoli di storia dell’arte. Architetti, artisti e grandi maestri artigiani hanno contribuito alla creazione di questa cattedrale unica, assolutamente da visitare! Tra le statue più curiose del Duomo ci sono certamente quella cinquecentesca di San Bartolomeo scorticato (che ha terrorizzato intere generazioni di ragazzini in gita scolastica) realizzata da Marco d’Agrate, quella di Primo Carnera realizzata negli anni 30 del Novecento per omaggiare il primo pugile italiano a fregiarsi del titolo mondiale e la Legge Nuova (1810) di Camillo Pacetti che pare abbia ispirato la realizzazione della, ben più famosa, Statua della Libertà di New York.

Tra le meraviglie meneghine è certamente da annoverare anche la Chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore, detta anche la “Cappella Sistina di Milano” grazie al maestoso ciclo di affreschi di scuola leonardesca che ne decora le pareti. Tra le grandi opere, recentemente restaurate e che quindi regalano nuovamente tutto il loro splendore, a colpire l’occhio del visitatore più curioso è l’affresco di Aurelio Luini (figlio del più celebre Bernardino) “Storie dell’Arca di Noè” che, incredibilmente, vede salire sull’arca più famosa di sempre gli altrettanto celebri “due leocorni”.

Cenacolo di Leonardo
Cenacolo di Leonardo

Milano vanta anche uno dei più grandi capolavori d’arte al mondo: il Cenacolo di Leonardo da Vinci (1494-1498). Contrariamente a quanto molti credono, l’Ultima Cena del maestro fiorentino non è un affresco ma un dipinto realizzato con tempera grassa e una tecnica molto simile a quella usata per la pittura su tavola che consentì una maggiore definizione dei dettagli e una brillantezza straordinaria dei colori. Nonostante i vantaggi, la scelta di questa originale tecnica causò anche grossi problemi di conservazione dell’opera, più esposta agli agenti atmosferici (ed ai vapori provenienti dalla cucina, essendo il Cenacolo dipinto sul muro del refettorio dell’ormai ex convento di Santa Maria delle Grazie) e al deterioramento causato dal passare del tempo. Ammirare l’Ultima Cena di Leonardo è un’esperienza emozionante che chiunque visiti Milano non deve lasciarsi sfuggire.

Un altro capolavoro degno di nota tra i tanti che si trovano a Milano, benché sia probabilmente meno conosciuto e certamente meno apprezzato del Cenacolo, è la Pietà Rondanini di Michelangelo (1552-1564) regina indiscussa dei Musei del Castello Sforzesco. Opera ritenuta tra le più personali del maestro (forse addirittura ideata per la di lui sepoltura secondo quanto indicato dal Vasari), la Pietà Rondanini rappresenta la scena biblica, raffigura l’abbraccio tra la madre e il figlio, sottintende la prossimità della resurrezione. Curioso il fatto che la monumentale opera sia stata acquistata dal Comune di Milano nel 1952 grazie ad una sottoscrizione pubblica tra tutti i cittadini (fortemente voluta dall’allora direttrice della Pinacoteca di Brera Fernanda Wittgens) che raccolse i 135 milioni necessari all’acquisto.

Se avrete l’occasione di visitare Milano in più giorni non lasciatevi sfuggire le collezioni d’arte della Pinacoteca di Brera – dal Cristo morto di Mantegna al Bacio di Hayez – della Pinacoteca Ambrosiana – dal Musico di Leonardo alla Canestra di Caravaggio – e del Museo del Novecento che espone il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo, Forme uniche della continuità dello spazio di Boccioni (sì, la scultura riprodotta sui 20 centesimi di euro italiani) e opere di de Chirico, Fontana, Modigliani e Kandinskij.

Ma a Milano l’arte non è solo quella dei grandi capolavori, a Milano si passeggia con il naso all’insù per ammirare le ville decorate da maioliche colorate in stile Liberty – una su tutte Casa Galimberti in Porta Venezia – si respira la romantica atmosfera dei Navigli tra botteghe d’arte e bistrot, si rimane incantati dalle storie e dalle leggende raccontate dal Castello Sforzesco e dal Parco Sempione, ci si stupisce di fronte ai coloratissimi murales dei quartieri più popolari come NoLo o l’Ortica.

Notre Dame brucia: il simbolo di una generazione

Notre Dame brucia. Il simbolo di una generazione illusa, disillusa, delusa, maltrattata è crollato. Spento l’incendio,  si sono accese le polemiche.

La Cattedrale parigina versava da anni in condizioni preoccupanti, proprio dalle impalcature posizionate per un’operazione di restauro dell’edificio pare abbia avuto origine l’incendio che il 15 aprile 2019 ha trafitto non solo il cuore di Parigi ma il cuore di una generazione che ha assistito impotente al crollo della guglia centrale e parte del tetto di Notre Dame.

I maggiori media mondiali hanno informato, discusso e alimentato le polemiche scaturite dall’incendio (dalla mala gestione statale del monumento negli anni alla velocità con cui potenti e industriali si sono proposti quali finanziatori del nuovo, e quanto mai ingente, restauro che riporterà Notre Dame al suo antico splendore) ma nessuno di loro si è concentrato sulla valenza simbolica che Notre Dame ha assunto per un’intera generazione.

Generazione caratterizzata oggi dalla deriva sociale e ideologica, la truppa illusa, disillusa, delusa, maltrattata dei cosiddetti Millenials (i nati tra gli anni ’80 e ‘90 nei Paesi occidentali) ha scoperto Parigi grazie al romantico film d’animazione prodotto dalla Disney (Capolista nella top 10 stilata nel 2017 da Reputation Institute Italia delle aziende più amate dagli italiani, la Disney perde il primato in favore di Amazon nella classifica dei Millenials che preferiscono, oggi, la realtà ai sogni – ne parlo qui) nel 1996: “Il gobbo di Notre Dame”.

Personaggio positivo, il gobbo Quasimodo (ideato da Victor Hugo per il suo “Notre-Dame de Paris” del 1831) è cresciuto isolato da una società che non può accettarlo, interagendo unicamente con un tutore il cui unico scopo è denigrarlo e con la cattedrale di Notre Dame, sua unica e migliore amica rappresentata dai tre gargoyles di pietra animati e ciarlieri. Ed è stato proprio allora che ci siamo innamorati di lei, che abbiamo iniziato ad ammirare con affetto quelle fredde pietre che portavano in dote nove secoli di storia d’Europa. Nel momento esatto in cui abbiamo iniziato ad amarla, nell’attimo in cui la monumentale cattedrale divenne nel nostro immaginario l’allegro ciarlare di Quasimodo con i suoi amici (la sua amica) Notre Dame è diventata uno dei simboli della nostra generazione.

Vignetta "Quasimodo abbraccia Notre Dame" disegnata dall’artista Cristina Correa Freile
Vignetta “Quasimodo abbraccia Notre Dame” disegnata dall’artista Cristina Correa Freile

I Millenials, come non accadeva dall’epoca dei baby boomer (i nati tra gli anni ’50 e ’60, cresciuti tra le amorevoli braccia del boom economico che videro moltiplicarsi le opportunità che avevano caratterizzato la condizione dei propri padri) hanno sperimentato un repentino shock tra le prospettive socio economiche preventivate ed esposte candidamente loro dalle generazioni che li precedevano e la realtà. Per la prima volta da decenni, l’avanzamento è quasi precluso, molto più probabile invece che si verifichi una condizione di arretramento socio economico rispetto alla condizione dei proprio padri o, peggio, si rimanga incastrati, galleggianti nullafacenti, aspiranti al nuovo e scintillante reddito di cittadinanza, ombre NEET (neither in employment nor in education and training – Non impegnati nello studio, nella propria formazione, in un lavoro o nella ricerca di esso).

E così ci siamo illusi, siamo stati cullati dalle fiabe, poi ci siamo impegnati, siamo diventati sicuri e arroganti e, prima che succedesse a Notre Dame, le nostre velleità sono crollate in un cumulo di polvere, sepolte da quei muri in fiamme che non abbiamo potuto varcare. Notre Dame brucia. Notre Dame sarà ricostruita dai soldi dei potenti. E la nostra polvere sarà spazzata via.

Analfabeti funzionali: gli odierni creatori della cultura italiana

Per secoli sono esistiti i creatori di cultura. Ancor prima (molto prima) che il termine cultura – Kultur – venisse utilizzato in quest’ambito nel Settecento dai tedeschi progenitori dei sociologi moderni, c’erano Michelangelo e Leonardo a portare la maestosità delle loro opere al popolo grazie al potere della chiesa, c’era l’oste emiliano che sbirciando dalla serratura l’ombelico di una cliente inventò i tortellini, c’era il corredo della sposa realizzato a mano, c’erano la selva oscura e Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, c’erano il Colosseo, il Castello Sforzesco, il Maschio Angioino e la Basilica di San Marco. E in seguito ci furono l’ermo colle e quel ramo del Lago di Como, le battaglie femministe per il voto e quelle dei lavoratori per il diritto allo sciopero, ci furono Maria Montessori e Alessandro Volta.

Ma, dopo secoli, è nel decennio corrente che ci troviamo di fronte alla destrutturazione della tradizionale creazione di cultura. Causato in massima parte dall’arrivo di grandi fasce della popolazione sui social network, questa turbolenta inversione di rotta si caratterizza per la possibilità che dà a chiunque di reinventarsi quale creatore di cultura. Tempo fa lessi un’affermazione di Umberto Eco che sintetizza amaramente il fatto che, nei secoli, opinioni poco sensate o non condivise dalla collettività venivano facilmente da quest’ultima sedate mentre ora, online, ciò che viene condiviso ha infinite possibilità di giungere all’orecchio di un altro folle e, in breve tempo, tramutarsi in cultura.

In seguito al conferimento della laurea honoris causa in Comunicazione e Culture dei Media, Umberto Eco sostenne che “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”. 

Come la storia insegna, ad ogni invasione dovrebbe corrispondere una resistenza, una resa o, come in questo caso, una fuga. Ed è così che l’invasione degli imbecilli ha trionfato conquistando le nuove terre del terzo millennio, i social network. In questo nuovo mondo, patria degli emigranti in cerca più di condivisioni che di fortuna, gli imbecilli di Eco si dan man forte, spingendosi poi nel territorio circostante, nel mondo reale, forti delle loro certezze.

Ma da dove nasce questa necessità degli imbecilli digitali di comunicare, di essere ascoltati, di essere compresi? Probabilmente la questione ha origine proprio da ciò che Eco descrive con la sua frase, dopo una vita durante la quale questi soggetti  “parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività” e poi “Venivano subito messi a tacere” hanno trovato finalmente un’occasione di riscossa grazie all’avvento dei social network, nati proprio con la finalità di mettere in contatto persone che avessero tra loro qualcosa in comune (Mark Zuckerberg fondò Facebbok nel 2004 con l’intenzione di incentivare la socializzazione tra studenti dell’Università di Harvard).

Per quanto la stessa Facebook abbia provato a contenere le bufale, le fake news e determinati contenuti ritenuti offensivi (ne parlo qui: Lotta a bufale e analfabetismo funzionale: Facebook nuovo alleato)  non è ancora stato trovato un modo di arginare gli imbecilli di Eco che ora, più educatamente, vengono definiti “Analfabeti funzionali”. Queste persone, che, secondo un indagine del Programme for the International Assessment of Adult Competencies (PIAAC) che ha considerato 33 Paesi, risultano essere circa il 28% in Italia (peggio di noi in Europa solo la Turchia con una percentuale del 48% di analfabeti funzionali) sanno leggere e scrivere ma non hanno capacità di elaborazione critica, non sono in grado di comprendere le istruzioni di montaggio di un elettrodomestico ne di elaborare ed utilizzare le informazioni di un testo semplice.  Nella maggior parte dei casi gli analfabeti funzionali  hanno più di 55 anni e sono poco istruiti, oppure sono giovanissimi che che vivono ancora con i genitori e non studiano ne lavorano (i cosidetti NEET – not in education, employment or training) o, probabilmente nel peggiore dei casi, sono laureati che hanno subito una sorta di processo di analfabetismo di ritorno.

Ecco con chi abbiamo a che fare, ecco chi crea la nostra cultura oggi, ecco chi si affanna a parlare di politica, chi crede che i migranti percepiscano 35 euro al giorno, chi dice che le famiglie arcobaleno non esistono, chi  crede che un’azienda assumerà un giovane che verserà gli stessi contributi di un lavoratore con quarant’anni di anzianità pagandogli la pensione, chi usa la reaction di risata, pensando alla solita fake news che lui stesso è stato accusato di condividere, quando l’Ansa dà notizia di un naufragio. Chi ride della morte.  Ecco con chi abbiamo a che fare, ecco chi crea la nostra cultura oggi.

Italia: siamo in salute ma non siamo felici

Il Global Health Index, pubblicato pochi giorni fa da Bloomberg, proclama gli italiani popolo più sano al mondo (sui 163 Paesi considerati) ma, allo stesso tempo, il World Happiness Report 2017 ci classifica come tristi (l’Italia è solo 48esima nella classifica della felicità che prende in esame 155 Paesi).

Le ricette sulle tavole italiane – La classifica stilata da Bloomberg, che ci vede primi nel mondo, si basa su diversi fattori per misurare lo stato di salute degli abitanti di una nazione:  vita media, nutrizione, salute mentale e fattori di rischio come ad esempio  fumo o pressione sanguigna alta.

Bloomberg.com riporta la motivazione principale di questa vittoria tutta italiana: il cibo. Siamo sani perché mangiamo sano. Nonostante la crisi economica, la domanda di alimenti freschi e di qualità è in continua ascesa, consumiamo molta più frutta e verdura di altre popolazioni e traiamo beneficio dall’olio d’oliva utilizzato come grasso principale nella dieta.

Bruschetta con aglio e olio d'oliva

Negli ultimi anni poi, a quelle che erano le abitudini salutari ereditate dalla dieta mediterranea tradizionale, si è aggiunto il nuovo stile di consumo dei millennials, i nati tra la metà degli anni 80 e i primi anni 2000, caratterizzato da attenzione a provenienza, produzione e impatto su ambiente e salute degli alimenti.

E la ricetta della felicità.. – La musica cambia se ad essere preso in esame è il livello di felicità degli italiani. Abbiamo esportato e fatto apprezzare la nostra cucina in tutto il mondo ma ancora non abbiamo scoperto la ricetta della felicità che, secondo il World Happiness Report 2017 redatto dal Sustainable Development Solutions Network su iniziativa delle Nazioni Unite, si basa su sei ingredienti principali: il pil procapite, la speranza di vita e di salute, il supporto sociale, la libertà di scelta, la generosità e la fiducia nel governo e nell’economia.

Siamo il popolo europeo che ha visto un “crollo di felicità” più netto negli ultimi dieci anni e i maggiori responsabili sono la percezione di non poter scegliere liberamente e la mancanza di fiducia nel governo e nell’economia. Prima nella classifica della felicità la Norvegia (che quest’anno ha soffiato il posto alla Danimarca) dove gli abitanti hanno fiducia nell’amministrazione e ben sperano nel futuro con la convinzione che, in caso di bisogno, avranno qualcuno vicino.

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Papa Francesco in Piazza Duomo a Milano (LaPresse)

La ricerca della felicità nel Belpaese è diventata da anni un tema ricorrente e rilevante, a tal punto da spingere il gruppo di ricerca Voices from the Blogs a sviluppare un sistema di misurazione chiamato iHappy. L’analisi, iniziata nel 2012 e basata sui post condivisi dagli utenti di Twitter, rileva un trend negativo a partire dal 2014 con alcuni picchi di “positività” dettati dagli eventi. Basti pensare al balzo di Milano che, nel week end di visita di Papa Francesco, è volata in prima posizione nella classifica delle città felici di iHappy.

Per scoprire i principi base della Psicologia e i padri della scienza psicologica consigliamo la lettura di questi testi di base:

Introduzione alla psicologia
Esperimenti di Psicologia

Alda Merini: la poetessa dei navigli

La poetessa dei  navigli, Alda Merini, è nata il 21 marzo 1931.

“Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta..”

“Era una scrittrice lei, già dall’età di 15 anni scriveva le sue poesie, e anche se vivevamo in una condizione di povertà e pativamo spesso la fame, nostra madre perseguiva i suoi sogni” così le quattro figlie parlano della poetessa Alda Merini.

Donna, Madre e Poetessa. Nessuna delle tre cose più di un’altra. La Merini è stata internata per vent’anni  in manicomio, a partire dagli anni 60. Nel  1979 comincia a raccontare gli orrori degli ospedali psichiatrici, alternerà periodi di libertà e di internamento fino al 1986 quando, in seguito alla morte del secondo marito Michele Pierri, torna definitivamente a casa, sul naviglio di Milano. Dall’esperienza della malattia e della degenza nasce l’opera considerata il suo capolavoro, “la Terra Santa”, vincitore del premio Montale nel 93.

Il manicomio è una grande cassa
con atmosfere di suono
e il delirio diventa specie,
l’anonimità misura,
il manicomio è il monte Sinai
luogo maledetto
sopra cui tu ricevi
le tavole di una legge
agli uomini sconosciuta”

Alda Merini scrive dei geni e dei folli, scrive di Dio. Perché i medici non possono comprendere ciò che è l’uomo ma solo Dio può sapere cosa nasconde l’animo umano, perché la mente è lo scacco alla scienza che non potrà mai comprenderla a pieno. Profondamente cattolica, la poetessa credeva che solo i poeti ,“I pronipoti di Dio”, potessero avvicinarsi a comprendere questo mistero.

Quelli dopo il ritorno a Milano saranno anni di tranquillità e intenso lavoro per la poetessa che diventa una figura pubblica, ottiene molti riconoscimenti letterari e la laurea ad honorem all’Università di Messina. La Merini sosterrà sempre che i poeti hanno la capacità di vedere cose che non sono accessibili a tutti “il poeta vede le cose in un altro modo. Molto diverso, molto più ampio.. ha un portato immaginifico enorme..”

Alda Merini si spegne il 1 novembre 2009 nella sua amata Milano. Non ricordavo fossero già passati tanti anni, ricordo invece benissimo quanto avevo desiderato conoscerla, quanto avrei voluto che leggesse le mie poesie di liceale e mi facesse da maestra.

 “Io la vita l’ho goduta tutta, a dispetto di quello che vanno dicendo sul manicomio. Io la vita l’ho goduta perché mi piace anche l’inferno della vita e la vita è spesso un inferno.. per me la vita è stata bella perché l’ho pagata cara”.

www.aldamerini.it