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Game of Thrones – Game of Brands

Serie televisiva statunitense trasmessa a partire dalla primavera del 2011, Game of Thrones (in Italia “Il Trono di Spade”) trasporta sullo schermo i romanzi fantasy di George R. R. Martin narrando le vicissitudini dell’immaginario Westeros, continente occidentale di un mondo popolato di creature straordinarie quali draghi, metalupi,  stregoni e da dinastie leggendarie. Fin dalle prime stagioni (in queste settimane viene trasmessa l’ottava stagione di Game of Thrones) la serie tv ha regalato ottime prestazioni in merito ad ascolti e critica. Il primo episodio, andato in onda il 17 aprile 2011, registrò 2,2 milioni di telespettatori che, crescendo costantemente negli anni, hanno raggiunto i 12 milioni di telespettatori per il finale della settima stagione (27 agosto 2017).

Il grande successo di Game of Thrones non poteva certo passare inosservato agli occhi delle aziende che, quotidianamente, competono sui social media per attirare quanta più attenzione possibile creando interessanti esempi di come un brand possa promuoversi in modo creativo, divertente e altamente riconoscibile da una larga fascia di pubblico e scatenando un vero e proprio Game of Brands.

Il Game of Brands diventa ancora più interessante quando si sceglie di utilizzare il potente (e divertente!) gioco del Real Time Marketing [Capacità di un’azienda di rispondere velocemente agli stimoli esterni creando occasioni di visibilità per il proprio brand o perfezionando i propri prodotti], uno strumento incredibilmente pervasivo ma spesso di breve durata che vede nel timing di realizzazione il suo principale alleato (“real time” ovvero “in tempo reale, istantaneo”).

Così la tazza di plastica del classico caffè a portar via diventa l’occasione per Greenpeace International di realizzare un contenuto (riuscitissimo!) che parli ai propri utenti del problema ambientale causato dall’abuso della plastica nel nostro quotidiano, la scena (spoiler!!!) in cui Arya Stark prende coscienza del suo destino grazie al dialogo con la sacerdotessa Melisandre che le chiede “Cosa diciamo al dio della morte” ottenendo un “Non oggi” come risposta diviene l’occasione per le aziende più reattive (ho scelto come esempio  di questo strumento il simpatico contenuto realizzato da Durex India su Instagram) di utilizzare quelle parole per promuovere i propri prodotti.

In questa carrellata di contenuti realizzati dai player del Game of Brands non ci si può certamente esimere dall’inserire l’eccezionale sigla della serie tv Game of Thrones reinterpretata dall’azienda dolciaria Oreo (che non è certamente l’ultima arrivata in tema di Real Time Marketing e contenuti originali) che ha ricostruito i castelli di Westeros con i suoi iconici biscotti. Ma il vero Re del Game of Brands è Adidas con la sua linea di sneakers dedicate a Games of Thrones!

Milanoguida - I draghi di Milano
Milanoguida – I draghi di Milano

Infine, la mia personale esperienza come player del Game of Brands: “I draghi di Milano” (le fontanelle tipiche meneghine con il rubinetto a forma di testa di drago)  contenuto postato sui social network (Facebook e Twitter) dell’agenzia turistica MilanoguidaPerchè, con i suoi 586 draghi verdi, è Milano la vera “Madre dei draghi”!

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Analfabeti funzionali: gli odierni creatori della cultura italiana

Per secoli sono esistiti i creatori di cultura. Ancor prima (molto prima) che il termine cultura – Kultur – venisse utilizzato in quest’ambito nel Settecento dai tedeschi progenitori dei sociologi moderni, c’erano Michelangelo e Leonardo a portare la maestosità delle loro opere al popolo grazie al potere della chiesa, c’era l’oste emiliano che sbirciando dalla serratura l’ombelico di una cliente inventò i tortellini, c’era il corredo della sposa realizzato a mano, c’erano la selva oscura e Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, c’erano il Colosseo, il Castello Sforzesco, il Maschio Angioino e la Basilica di San Marco. E in seguito ci furono l’ermo colle e quel ramo del Lago di Como, le battaglie femministe per il voto e quelle dei lavoratori per il diritto allo sciopero, ci furono Maria Montessori e Alessandro Volta.

Ma, dopo secoli, è nel decennio corrente che ci troviamo di fronte alla destrutturazione della tradizionale creazione di cultura. Causato in massima parte dall’arrivo di grandi fasce della popolazione sui social network, questa turbolenta inversione di rotta si caratterizza per la possibilità che dà a chiunque di reinventarsi quale creatore di cultura. Tempo fa lessi un’affermazione di Umberto Eco che sintetizza amaramente il fatto che, nei secoli, opinioni poco sensate o non condivise dalla collettività venivano facilmente da quest’ultima sedate mentre ora, online, ciò che viene condiviso ha infinite possibilità di giungere all’orecchio di un altro folle e, in breve tempo, tramutarsi in cultura.

In seguito al conferimento della laurea honoris causa in Comunicazione e Culture dei Media, Umberto Eco sostenne che “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”. 

Come la storia insegna, ad ogni invasione dovrebbe corrispondere una resistenza, una resa o, come in questo caso, una fuga. Ed è così che l’invasione degli imbecilli ha trionfato conquistando le nuove terre del terzo millennio, i social network. In questo nuovo mondo, patria degli emigranti in cerca più di condivisioni che di fortuna, gli imbecilli di Eco si dan man forte, spingendosi poi nel territorio circostante, nel mondo reale, forti delle loro certezze.

Ma da dove nasce questa necessità degli imbecilli digitali di comunicare, di essere ascoltati, di essere compresi? Probabilmente la questione ha origine proprio da ciò che Eco descrive con la sua frase, dopo una vita durante la quale questi soggetti  “parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività” e poi “Venivano subito messi a tacere” hanno trovato finalmente un’occasione di riscossa grazie all’avvento dei social network, nati proprio con la finalità di mettere in contatto persone che avessero tra loro qualcosa in comune (Mark Zuckerberg fondò Facebbok nel 2004 con l’intenzione di incentivare la socializzazione tra studenti dell’Università di Harvard).

Per quanto la stessa Facebook abbia provato a contenere le bufale, le fake news e determinati contenuti ritenuti offensivi (ne parlo qui: Lotta a bufale e analfabetismo funzionale: Facebook nuovo alleato)  non è ancora stato trovato un modo di arginare gli imbecilli di Eco che ora, più educatamente, vengono definiti “Analfabeti funzionali”. Queste persone, che, secondo un indagine del Programme for the International Assessment of Adult Competencies (PIAAC) che ha considerato 33 Paesi, risultano essere circa il 28% in Italia (peggio di noi in Europa solo la Turchia con una percentuale del 48% di analfabeti funzionali) sanno leggere e scrivere ma non hanno capacità di elaborazione critica, non sono in grado di comprendere le istruzioni di montaggio di un elettrodomestico ne di elaborare ed utilizzare le informazioni di un testo semplice.  Nella maggior parte dei casi gli analfabeti funzionali  hanno più di 55 anni e sono poco istruiti, oppure sono giovanissimi che che vivono ancora con i genitori e non studiano ne lavorano (i cosidetti NEET – not in education, employment or training) o, probabilmente nel peggiore dei casi, sono laureati che hanno subito una sorta di processo di analfabetismo di ritorno.

Ecco con chi abbiamo a che fare, ecco chi crea la nostra cultura oggi, ecco chi si affanna a parlare di politica, chi crede che i migranti percepiscano 35 euro al giorno, chi dice che le famiglie arcobaleno non esistono, chi  crede che un’azienda assumerà un giovane che verserà gli stessi contributi di un lavoratore con quarant’anni di anzianità pagandogli la pensione, chi usa la reaction di risata, pensando alla solita fake news che lui stesso è stato accusato di condividere, quando l’Ansa dà notizia di un naufragio. Chi ride della morte.  Ecco con chi abbiamo a che fare, ecco chi crea la nostra cultura oggi.

Strategie di comunicazione: la scelta vegan e il caso Motta

Per elaborare una strategia di comunicazione efficace sono molti i fattori dei quali tener conto, in primis il rispetto per il consumatore. Sarà che l’agenzia che cura la comunicazione della Motta (e che ha elaborato il famigerato spot del panettone..) non ha considerato offensive le parole utilizzate per promuovere il dolce natalizio, sarà che l’intenzione era quella di strappare una risata a chi i vegani li prende in giro tutto l’anno, sarà che pensavano addirittura di estorcere un sorriso anche agli erbivori più convinti, fatto sta che la pubblicità in questione ha creato più problemi che consensi.

Fino a qualche anno fa era in voga in ambiente pubblicitario il detto “che se ne parli bene, che se parli male, purché se ne parli”. Oggi non è più così, il rispetto per il consumatore è diventato il cardine di ogni strategia di comunicazione ben pensata. E se è vero che si deve mirare a convincere soprattutto il proprio target di riferimento (e sicuramente nessun vegano avrebbe comunque acquistato il panettone tradizionale, Motta o non Motta) è bene ricordarsi che viviamo nella civiltà dell’empatia, che spesso offendere il mio vicino equivale ad un’offesa nei miei confronti, che molti di coloro che non condividono una scelta ritengono comunque fondamentale che essa venga rispettata.

“La coscienza empatica si fonda sulla consapevolezza che gli altri, come noi, sono esseri unici e mortali. Se empatizziamo con un altro è perché riconosciamo la sua natura fragile e finita, la sua vulnerabilità e la sua sola e unica vita; proviamo la sua solitudine esistenziale, la sua sofferenza personale e la sua lotta per esistere e svilupparsi come se fossero le nostre. Il nostro abbraccio empatico è il nostro modo di solidarizzare con l'altro e celebrare la sua vita” La civiltà dell’empatia – Jeremy Rifkin
“La coscienza empatica si fonda sulla consapevolezza che gli altri, come noi, sono esseri unici e mortali. Se empatizziamo con un altro è perché riconosciamo la sua natura fragile e finita, la sua vulnerabilità e la sua sola e unica vita; proviamo la sua solitudine esistenziale, la sua sofferenza personale e la sua lotta per esistere e svilupparsi come se fossero le nostre. Il nostro abbraccio empatico è il nostro modo di solidarizzare con l’altro e celebrare la sua vita”
La civiltà dell’empatia – Jeremy Rifkin

Chi invece ci ha pensato bene a come fare una campagna di comunicazione che arrivasse a tutti (perché, in questo caso, il target è veramente molto ampio) è l’organizzazione no-profit Veganuary che ha invaso la metropolitana londinese con manifesti Try Vegan this January – Prova ad essere vegan questo gennaio”. La comunicazione è focalizzata su quanto ci sia di positivo nella scelta cruelty free, utilizza colori vivaci e immagini molto dolci (immaginate la rivolta delle madri se si fossero trovate immagini di un mattatoio in metropolitana andando a prendere i figli a scuola?!). Eccone alcuni esempi:

Chiudo la riflessione con un’altra citazione de “La civiltà dell’empatia” di Jeremy Rifkin (meditate gente, meditate):

La civiltà dell’empatia è alle porte. Stiamo rapidamente estendendo il nostro abbraccio empatico all’intera umanità e a tutte le forme di vita che abitano il pianeta. Ma la nostra corsa verso una connessione empatica universale è anche una corsa contro un rullo compressore entropico in progressiva accelerazione, sotto forma di cambiamento climatico e proliferazione delle armi di distruzione di massa. Riusciremo ad acquisire una coscienza biosferica e un’empatia globale in tempo utile per evitare il collasso planetario?

La comunicazione contro la violenza sulle donne

Oggi, venerdì 25 novembre, è la Giornata nazionale contro la violenza sulle donne, ancora perpetrata nel nostro paese, soprattutto tra le mura domestiche. Secondo i dati Istat, in Italia sono circa 7 milioni le donne che hanno subito violenza durante la loro vita. E se i femminicidi risultano essere in lieve calo, rimane costante invece il numero di donne maltrattate, percosse, aggredite, sfregiate e perseguitate.

Le campagne di comunicazione sviluppate intorno a questa giornata mirano a coinvolgere, rendere partecipe del problema chi guarda. Questa strategia si può utilizzare in diversi modi, prendiamo ad esempio due campagne video, quella di #NonUnaDiMeno e quella della RAI. Il tema della violenza sulle donne non è nuovo in ambito di shockvertising (spot ideato per scioccare lo spettatore e sensibilizzarlo al tema) ma, come in altri tipi di comunicazione, c’è un modo giusto di farlo ed uno sbagliato. Questo il link allo spot realizzato dalla RAI, a voi l’ardua sentenza.

Questo prodotto di comunicazione, bello o brutto che sia, è sicuramente un esempio magistrale di shock advertising. Chi di noi si sarebbe aspettato una frase del genere dalla bambina coi boccoli biondi in coda al video? Nessun tono pregresso lo aveva anticipato e così l’effetto shock è servito! Ma la RAI ha trascurato qualcosa di fondamentale quando si realizza questo tipo di comunicazione: il messaggio. Non è chiaro infatti perché si attribuisca alla bambina un destino segnato senza possibilità d’appello, senza poter combattere. Si comunica a tutti quanti che la bambina sarà, lo è già, una vittima, una di meno.

Diverso il prodotto video realizzato da #NonUnaDiMeno, emozionante, chiaro, conciso, combattivo. La chiave di lettura è il cinema, il grande cinema femminile, da Thelma e Louise a Bridget Johnes, da Lola corre a Kill Bill. Buona visione!

Elezioni USA 2016 & Real Time Marketing Made in Italy

Il Real Time Marketing è la capacità di un brand di cavalcare il momento. Mi spiego con un esempio: recentemente la compagnia aerea Norwegian Air Shuttle è riuscita a sfruttare la separazione tra Brad Pitt e Angelina Jolie ottenendo un altissimo livello di brand awareness. “Brad is single” la scritta bianca su sfondo rosso a tutta pagina, concepita per vendere voli per Los Angeles, stampata a tutta pagina su un quotidiano cartaceo, ha avuto il pregio di essere così ben riuscita da meritarsi il passaggio verso i social.

La pubblicità della Norwegian Air "Brad is single"
Pubblicità Norwegian Air Shuttle “Brad is single”

Questo è uno snodo fondamentale quando si parla di Real Time Marketing: se una campagna è semplice, diretta e impattante ci sarà un’alta possibilità di duplicazione sui social network. Ovviamente in questo modo si moltiplica la visibilità del brand e si amplia il target colpito (gli utenti dei social network sono spesso diversi dai fruitori dei media tradizionali).

Le elezioni USA 2016, per ovvi motivi (e per altri motivi, che ovvi non dovrebbero essere), sono state protagoniste di diversi esempi di Real Time Marketing. Ecco a voi alcuni esempi delle creatività Real Time delle aziende Made in Italy:

Fiat: azzeccatissima, anche se borderline in tema di politically correct, la campagna della casa automobilistica della 500.

fiat

Homepal.it: la nuova startup dedicata all’home parte col piede giusto e realizza una campagna che dalla metropolitana di Milano contagia i social network grazie alla sua immediatezza e sottile umorismo.

homepale-it

Ceres: perfetta, mi sento di aggiungere come sempre, e ironica. Io avrei preferito la birra.

ceres

Toyota Italia: i vincitori assoluti del Real Time Marketing Changellge per le Elezioni USA 2016. “It’s time to #sbarackobama”. Sigh.

toyota

Social network & Contest: l’innovazione della start-up Leevia

L’annosa questione dei contest sui social network: legale si o legale no? ROI si o ROI no? Se un concorso richiede un investimento troppo alto, se le normative italiane non aiutano, se la tua azienda non sa come trattare i dati ottenuti per ottenere un ROI (return on investiment) quantificabile, perché addentrarsi nei meandri del contest online?

In base alle normative vigenti, un concorso a premi, anche se pubblicizzato sui social, deve necessariamente svolgersi su di una piattaforma esterna. Nasce da qui l’esigenza di poter creare dei mini siti ad hoc per l’occasione, semplici e poco costosi.

Leevia ha lanciato in questi giorni una nuova versione della prima piattaforma italiana – rivolta ad aziende e agenzie di comunicazione e marketing – per la creazione in pochi minuti di concorsi a premi, contest, sondaggi e iniziative online, con veri e propri minisiti dedicati integrati con Facebook, Twitter e Instagram.

La start-up nostrana ha sviluppato un servizio completamente in italiano, semplice da utilizzare e ricco di funzionalità, come la personalizzazione e una sezione dedicata agli analytics, supportando così le campagne di digital e social media marketing dall’idea creativa alle pratiche burocratiche, fino all’analisi del ROI. La nuova piattaforma promette di coinvolgere gli utenti e migliorare l’engagement,trasformando interazioni in contatti profilati.

I prodotti Leevia sono perfettamente integrati con i social network (Facebook, Instagram e Twitter) e totalmente in linea con le normative dei contest online. Si potranno lanciare per gli utenti: foto contest, sondaggi, Indovina e Vinci (gli utenti devono indovinare il risultato di un evento futuro, ad esempio una partita di calcio), Rush and Win (compilare un form, ricevendo un premio istantaneo) e la personalizzazione di immagini con Foto Frame.

Deliveroo - #EuRoo
Case history Deliveroo – #EuroRoo

 

Una delle case history più interessanti che si possono trovare sul sito di Leevia, riguarda l’azienda inglese Deliveroo. Sfruttando le dinamiche di Real Time Marketing che è possibile applicare in occasione di un importante evento sportivo, in questo caso gli Europei di calcio, l’azienda ha creato un contest “indovina e vinci”.

Gli utenti dovevano indovinare il risultato delle partite di calcio della nazionale italiana per poter partecipare all’estrazione di diversi premi, tra cui sconti e cene gratuite consegnate a casa dai driver di Deliveroo. La pagina del contest #Euroroo ha ottenuto un conversion rate piuttosto alto di 11,14%. Le ragioni di questo dato sono da individuarsi sicuramente nell’onda emotiva suscitata dall’evento sportivo, ma anche nella semplicità con la quale gli utenti possono accedere e partecipare al contest.

Comunicazione social: è il contesto a definire il linguaggio

L’espressione “competenza comunicativa”, coniata da Dell Hymes nel 1972, si riferisce a “l’abilità degli utenti di una lingua di usarla in modo efficace ed appropriato in diversi contesti e per esigenze comunicative di vario tipo”. Sono molti gli studiosi di pragmatica del linguaggio che condividono e lavorano a partire da questa definizione. Elaborare una comunicazione a partire dal contesto nel quale essa si svilupperà è fondamentale per il comunicatore odierno che si ritrova a gestire la varietà di contesti più ampia mai esistita.

Non considerando “con chi”, “come”, “perché” e “quando” stiamo comunicando ma unicamente il “dove” stiamo comunicando, possiamo valutare diversi ambienti, ognuno con diverse ramificazioni: la comunicazione in presenza, la comunicazione su supporto media e la comunicazione online. Quest’ultimo ambiente ha subito, in meno di un decennio, una serie di differenziazioni che hanno portato allo sviluppo di modi di comunicare totalmente nuovi e del tutto diversi uno dall’altro.

Ad esempio, all’interno dei social network, che sono veri e propri amplificatori di socialità, si dovrà utilizzare un linguaggio fluido e comprensibile ad ogni tipologia di utente che possa interagirvi, ricordando sempre che valgono le stesse regole dei gruppi sociali fuori dal web: l’accettazione è tutto. Se poi un utente, grazie a come e cosa comunica all’interno della sua community di riferimento, raggiunge l’autorevolezza diventa snodo: quello che, in ambito commerciale, è definito influencer.

The Economist ha da poco pubblicato dei grafici che illustrano le capacità di guadagno di un influencer sui diversi social. Utlizzando i dati di Captive8, piattaforma che mette in contatto aziende e influencer, The Economist mostra che il guadagno per singolo post può andare da 2mila dollari (per chi ha 100mila follower) e arrivare a cifre da capogiro per gli influencer con il maggior numero di seguaci.

Influencer: possibilità di guadagno per singolo post
Influencer: possibilità di guadagno per singolo post

Le possibilità di guadagno per chi si rivela essere un buon comunicatore sono chiaramente golose, ma meno lampante è la strategia da adottare per diventarlo.

Due sono le regole: diversificare è la prima, perchè mentre su Facebook è consigliabile comunicare con testo (breve!) e immagini, preferendo contenuti leggeri e riconducibili alla vita di tutti i giorni (album della vacanza in famiglia e registrazioni nei luoghi top della tua città vanno benissimo), su Twitter e Linkedin è d’obbligo accantonare le frivolezze e dedicarsi all’informazione nel primo caso e alla professione nel secondo.

Ma la regola fondamentale, la più importante, rimane sempre la stessa: condividere contenuti di valore per la community di riferimento. Ricordiamo sempre che “Content is the King”.