É cominciata quest’oggi la Conferenza annuale dell’Onu sul Clima COP22, a Marrakech, in Marocco. Questo incontro si rivela cruciale in quanto segue di soli tre giorni l’entrata in vigore formale dell’accordo per la riduzione delle emissioni raggiunto durante la COP21 di Parigi. Il summit, in programma dal 7 al 18 novembre, ha l’obiettivo di definire una strategia che metta d’accordo i governi firmatari sulle modalità con le quali giungere ad una riduzione delle emissioni del 50% entro il 2050 e del 100% entro il 2100.
Sul tavolo anche la particolare questione dell’opzione di compensazione per i paesi maggiormente colpiti dal surriscaldamento, i più poveri, che hanno dovuto affrontare calamità, siccità e inondazioni. Passando poi dai paesi più svantaggiati ai più ricchi, ci si chiede quali sarebbero le prospettive degli accordi di andare a buon fine nel caso in cui il repubblicano Donald Trump vincesse le presidenziali USA.
Trump ha infatti da subito messo in chiaro la sua posizione riguardo ai cambiamenti climatici definendoli come una bufala inventata da chi vuole controllare la produzione e l’energia utilizzata dagli Stati Uniti. La verità è che le paure relative ad una vittoria del candidato repubblicano sono infondate in quanto l’accordo raggiunto al COP21 prevede la permanenza obbligatoria per tre anni dei Paesi firmatari (tra i quali gli Stati Uniti) e il preavviso di un anno in caso di uscita. Se ne deduce che, durando quattro anni il mandato presidenziale USA, anche in caso di vittoria di Trump gli statunitensi non potrebbero esimersi dal partecipare alle attività decise per la riduzione di gas serra.
Alla COP22 di Marrakech verrà deciso anche come dovrà essere il futuro “global stock take”, la revisione quinquennale dei progressi compiuti dai Paesi riguardo agli obiettivi designati pensata per valutare come e quanto i vari governi manterranno le promesse fatte. Attualmente sono 192 i Paesi che hanno ratificato l’accordo, compresi i maggiori produttori di emissioni: Cina e Stati Uniti.