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Plastica: storia della più celebre nemica dell’ambiente

Sotto i riflettori come non mai, neoeletta peggior nemica dell’ambiente a causa del suo lentissimo processo di degradabilità (dai 100 agli oltre 1000 anni), la plastica ha in realtà una storia piuttosto longeva.

Il primo materiale di tipo plastico venne inventato e brevettato tra il 1861 e il 1862 dall’inglese Alexander Parkes. Con gli studi dei fratelli Hyatt (Stati Uniti, 1870) si otterrà poi la formula della cellulosa che fornì la base, nel XX secolo, per lo sviluppo dell’acetato di cellulosa. Nel giro di pochi anni, nel secondo decennio del ‘900, vengono brevettati la Bakelite, il PVC e il cellophane: la via per l’invasione della plastica è aperta.

Tra gli anni ’30 e ‘40 la plastica diventa protagonista dell’industria moderna, il petrolio viene elevato a “materia prima”, migliorano le tecniche di stampaggio e lavorazione, vengono brevettati il nylon e il polietilene tereftalato (PET). Proprio il PET diverrà celebre in qualità di contenitore per bevande quando, nel 1973, Nathaniel Wyeth brevetta la bottiglia che oggi è riconosciuta come standard per il confezionamento delle acque minerali e delle bibite: la celeberrima bottiglietta di plastica!

bottiglia pet plastica

Nei decenni successivi, gli anni del boom economico, la plastica entra prepotentemente nelle case di tutti gli italiani (anche in seguito alla scoperta di Giulio Natta nel 1954 del Polipropilene isotattico) e si afferma nel mondo della moda, del design e, più tardi, dell’innovazione tecnologica.

Fu a partire dagli anni ’90 che i ricercatori identificarono le cosiddette “Isole di plastica” negli oceani e venne coniato il termine “microplastica” (dall’oceanografo Richard Thompson) per lanciare l’allarme riguardo ai minuscoli frammenti plastici che stanno inquinando direttamente gli organismi degli animali marini. Le microplastiche possono risultare dalla rottura di plastiche di più grandi dimensioni o essere state create appositamente dalle aziende per i loro prodotti, in particolare cosmetici e detersivi, come “microsfere”.

“L’Università di medicina di Vienna ha dimostrato la presenza di piccoli pezzi di plastica, di dimensioni comprese tra 50 e 500 micrometri, nei campioni di feci umane. Sono stati analizzati i campioni di otto diversi partecipanti dai 33 ai 65 anni, provenienti da Giappone, Russia, Paesi Bassi, Regno Unito, Italia, Polonia, Finlandia e Austria. Tutti i campioni sono risultati positivi alle microplastiche. Nello specifico, sono stati rilevati nove diversi tipi di plastica: il polipropilene e il polietilentereftalato sono risultati i più comuni. In media, i campioni contenevano 20 particelle di microplastica per ogni 10 grammi di feci umane. Secondo i diari alimentari tenuti dai partecipanti risulta che tutti sarebbero venuti a contatto con la plastica tramite involucri alimentari e bottiglie e sei delle otto persone avrebbero mangiato pesce dall’oceano.” [Repubblica.it – 7 settembre 2019]

microplastiche

Proprio contro le microplastiche si è scatenata la prima protesta contro la plastica che, nel giro di pochi anni, ha raggiunto dimensioni inimmaginabili. La spiegazione che si sono dati gli esperti riguardo a tutto l’interesse e la preoccupazione sul tema rispetto ad altri problemi ambientali [spesso più gravi, come ad esempio i cambiamenti climatici] è piuttosto semplice:

il problema è percepito come risolvibile.

Ma lo è davvero?

Consideriamo dunque qualche buona notizia (dall’Europa e dall’Italia) che ci fa sperare che la risposta sia “Si”.

  • All’inizio del 2019 il Parlamento Europeo ha approvato nuove norme su proposta dalla Commissione ambiente per l’eliminazione dei prodotti di plastica monouso per i quali esiste un’alternativa sostenibile (posate di plastica, cannucce, cotton fioc, coperchi per bevande, ecc) entro il 2021. La direttiva europea prevede anche che entro il 2029 il 90% delle bottiglie di plastica PET debba essere raccolto e riciclato dagli Stati membri. Alle aziende produttrici di involucri e contenitori spetterà l’attività di sensibilizzazione tramite etichette informative e anche l’obbligo di contribuire ai costi di gestione e bonifica dei rifiuti.
  • Alle elezioni europee 2019 il gruppo dei Verdi ha ottenuto 75 seggi (poco meno del 10%), quasi il doppio della tornata elettorale 2014.
  • Nel 2018 il Regno Unito ha vietato le microplastiche nei cosmetici e nei prodotti di igiene personale.
  • L’Italia è stato il primo Paese in Europa ad approvare la legge contro gli shopper non compostabili, approvata nel 2006 ed entrata in vigore nel 2012, ad applicare dal 1 gennaio 2018 la messa al bando dei sacchetti leggeri e ultraleggeri di plastica tradizionale, a dire stop ai cotton fioc non biodegradabili e compostabili (dal 2019) e microplastiche nei cosmetici (a partire dal 2020). [fonte: Legambiente]

La strada da fare è ancora tanta, tantissima, ma il cammino è iniziato…

“Tutti gli insegnanti dicono la stessa cosa, […] “Sarete voi a salvare il mondo.” Sì, ce l’hanno già detto. Ma non sarebbe così stupido se almeno ci voleste aiutare un po’”. [Greta Thunberg]

Per maggiori informazioni vi invito a consultare il sito Corepla – Consorzio nazionale per raccolta riciclo e recupero degli imballaggi in plastica, a leggere questo interessantissimo articolo di Stephen Buranyi per The Guardian tradotto e pubblicato su Eco-Magazine.info e, soprattutto, ad acquistare in modo consapevole.

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Giornata Mondiale dell’Ambiente 2017: l’impatto dell’alimentazione umana

Proclamata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite 45 anni fa (nel 1972), il 5 giugno di ogni anno ricorre la Giornata Mondiale dell’Ambiente, dedicata nel 2017 alla connessione tra la natura e l’uomo.

In base ai dati dell’indagine Waste Watchers presentati da Last Minute Market, oltre l’80% degli italiani si dichiara ambasciatore della cultura green (ovvero disposto a farsi carico del cambiamento necessario) e acerrimo nemico dello spreco alimentare: il 91% degli intervistati la considera cosa grave o gravissima e ben il 96% dichiara di insegnare ai figli a non sprecare.

Quel che manca pare essere la consapevolezza riguardo alla situazione attuale: 3 intervistati su 4 incolpano la filiera di produzione/distribuzione e gli esercizi di ristorazione di produrre enormi sprechi quando, stando alla realtà dei fatti, il 60/70% dello spreco alimentare avviene nelle case ed è pari a circa 16 miliardi annui (1% del pil).

Per quanto riguarda gli sprechi alla fonte (produzione, distribuzione e ristorazione), è stata approvata pochi mesi fa dal parlamento italiano la Legge Antisprechi, un sistema premiante per chi dona l’eccedenza alimentare, di farmaci e vestiario, basato su incentivi (riduzione dell’importo della tessa sui rifiuti) e semplificazioni burocratiche.

Sembra evidente, oggi più che mai, che la volontà di fare la cosa giusta rischia di rimanere solo una dichiarazione d’intenti, sostenuta dalla mala informazione che spinge le persone ad incolpare qualcun altro di un torto del quale esse stesse sono inconsapevolmente colpevoli. Facile puntare il dito. Facile essere ambasciatori green se il nostro compito è spingere altri a cambiare. Difficile è cambiare noi stessi e le nostre abitudini.

Lo spreco alimentare casalingo è, come noto, solo una delle cause che rendono l’alimentazione umana non più sostenibile per il pianeta, altra problematica che necessita di maggiore attenzione è quella del consumo di carne ed, in particolare, della presenza di allevamenti intensivi di animali.

allevamento suini

“Quella di oggi è la prima generazione ad avere piena consapevolezza che ogni scelta comporta delle conseguenze. E’ tempo di decidere tra la vita e la morte e scegliere di seguire la corrente significa scegliere la morte.”

Frances Moore Lappé, attivista e scrittrice statunitense

Il dato sconvolgente del quale la maggior parte delle persone paiono tutt’ora essere all’oscuro – nonostante sia presente addirittura nella popolarissima Wikipedia – è che per produrre un chilo di carne da immettere sul mercato sono necessari tra i 14 e i 20 chili di cereali e leguminose.

allevamento mucche

“Gli allevamenti sono fabbriche di proteine alla rovescia”.

Frances Moore Lappé, attivista e scrittrice statunitense

Agli allevamenti intensivi e al loro legame con il collasso ambientale si sono interessati recentemente diversi studiosi e scrittori; ogni anno vengono pubblicati libri, realizzate nuove ricerche ed emergono evidenze a sostegno dell’adozione di una dieta vegetariana o vegana che consenta al pianeta di continuare a vivere. Tra i parametri considerati più importanti: il consumo di acqua e le emissioni di CO2.

allevamento polli

Ad esempio, la ricerca italiana del 2006 “Valutazione dell’impatto ambientale di diverse tipologie di alimentazione” ha determinato che una dieta vegetariana ha un impatto ambientale di 1,8 volte superiore rispetto ad una dieta vegana mentre un alimentazione onnivora che rispetti parametri dietetici consigliati arriverebbe quasi a triplicare l’impatto di una dieta che rifiuti carne e derivati. Lo studio puntualizza che, nel 2006, la dieta scorretta adottata mediamente dagli italiani risultava avere un impatto di 6,7 volte superiore rispetto a quella di un vegano.

macello

 “Pensare di avere più diritto a mangiare un animale di quanto ne abbia l’animale a vivere senza soffrire è una depravazione. Non sono ragionamenti astratti. È questa la realtà in cui viviamo. Guarda che cosa sono gli allevamenti intensivi. Guarda che cos’ha fatto la nostra società agli animali non appena ne ha avuto il potere tecnologico. Guarda che cosa facciamo effettivamente in nome del «benessere degli animali» e del «trattamento umano», e poi decidi se sei ancora disposto a mangiare carne.. E allora quanta sofferenza è accettabile? È questa la base di tutto, ed è questo che ognuno di noi deve chiedersi. Quanta sofferenza sei disposto a tollerare per il tuo cibo?”

Jonathan Safran Foer, scrittore e saggista statunitense

L’acqua: una questione ambientale e socio-economica

La Giornata Mondiale dell’Acqua, istituita dalle Nazioni Unite nel 1992 e che ricorre ogni 22 marzo, è un’occasione per riflettere sulla situazione del pianeta da un punto di vista ambientale, sociale ed economico.

L’acqua lega tutti e tutto a doppio filo, senza di essa non esisterebbe la vita, non sarebbe possibile abitare il pianeta e non si avrebbero le risorse per la creazione di un sistema economico anche solo di piccola scala. Ma, ormai troppo spesso, l’acqua viene data per scontata: si discute del consumo di suolo, delle ingiustizie sociali che affliggono parti del pianeta, della globalizzazione che sta, inesorabilmente, allargando la forbice della diseguaglianza economica. In pochi parlano della situazione dei nostri mari e dei nostri ghiacciai, della mancanza di acqua che colpisce alcune popolazioni del mondo e dello spreco che se ne fa in altre, dell’abnorme necessità idrica delle industrie e degli allevamenti.

L’edizione 2017 della Giornata Mondiale dell’Acqua è dedicata alla questione delle acque reflue, ovvero quelle contaminate da attività domestiche, industriali e agricole. Obiettivo dell’Onu sarebbe quello di “migliorare entro il 2030 la qualità dell’acqua eliminando le discariche, riducendo l’inquinamento e il rilascio di prodotti chimici e scorie pericolose, dimezzando la quantità di acque reflue non trattate e aumentando considerevolmente il riciclaggio e il reimpiego sicuro a livello globale”.

Come per molte altre tematiche di rilievo, il mio primo invito è quello di informarsi, leggere, chiedere, discutere. Ma, nel frattempo, alcuni consigli:

Mangia meno carne e pesce (o scegli una vita veg): il consumo di acqua degli esseri umani, o impronta idrica (dall’inglese water footprint), legato al cibo è circa l’85% del totale (il 10% alla produzione industriale e il 5% al consumo domestico). Di conseguenza, se si vuole ridurre il proprio impatto personale, è utile sapere che i prodotti derivati dagli animali hanno un’impronta idrica maggiore rispetto a quelli vegetali, a causa dell’acqua impiegata per produrre il foraggio.

Poni attenzione a quello che fai: chiudi l’acqua quando ti lavi i denti, fatti la doccia e non il bagno (che giova anche alla circolazione), fai la lavatrice solo a pieno carico, non usare detergenti aggressivi e preferisci i rimedi della nonna per pulire casa. Sono solo alcune piccole cose tra quelle e che puoi fare senza sforzo e che possono venirti in mente se poni attenzione..

Esercitare il consumo critico: in questi ultimi anni alcune aziende, spinte dalle pressioni esercitate dall’opinione pubblica, si stanno muovendo verso una politica di riduzione dello spreco idrico. A questo proposito rimando ad un interessante analisi di Lifegate che cita Fiat Chrysler Automobiles ed Enel come le virtuose italiane.

Live Wine 2017: vini artigianali, naturali, biologici e biodinamici

Gli eventi dedicati ai prodotti biologici si sono, negli ultimi anni, moltiplicati. A Milano, capitale dell’innovazione, del lifestyle e di tutto ciò che fa tendenza, si è svolto durante lo scorso week end – 18 e 19 febbraio al Palazzo del Ghiaccio – Live Wine: la fiera internazionale del vino artigianale.

Dedicato agli operatori del settore, agli appassionati eruditi del tema e a possibili e probabili compratori, l’evento è stato caratterizzato da un’aura di sobrietà (potrebbe sembrare una battuta), professionalità e competenza. Da cultrice di enologia di livello più che amatoriale – nonostante le parentele eccelse in Franciacorta che producono Millesimato per ristoranti stellati – mi son sentita circondata da persone sapienti, veri conoscitori del prodotto e della sua storia, delle tecniche e della passione che alberga in chi lavora la terra.

Particolarmente attrattivo è stato il concetto di vino naturale che “si prefigge di indicare un vino prodotto in modo rispettoso dell’ambiente e salutare per chi lo consuma; ma anche, di conseguenza, di qualità superiore e ben connotato gustativamente”. La definizione è tratta da “Vini Naturali. Che cosa sono?” di Samuel Cogliati (Possibilia Editore). Parlando di vino naturale con i produttori in fiera (oltre 150 da tutta Italia e da molte regioni d’Europa) ho scoperto che in molti si stanno interessando negli ultimi anni alle certificazioni biologiche ma anche che, alcuni di loro, sviluppano da molto tempo i propri prodotti seguendo le regole del bio senza interessarsi alle certificazioni (ritenute spesso troppo costose).

Dalla vendemmia del 2012 i produttori possono indicare in etichetta che un vino è biologico qualora seguano le pratiche di agricoltura biologica in vigna ed in cantina secondo le indicazioni contenute nel regolamento europeo che vieta l’utilizzo di alcune sostanze e di alcune pratiche. Sono vietate le sostanze di derivazione chimica ma concesse quelle di origine animale, minerale o vegetale (ad esempio la gomma arabica, la colla di pesce, la caseina, l’albumina, la bentonite, la perlite ed altre materie prime di origine biologica). In particolare viene imposto un limite riguardo quantità di solfiti nei vini rossi ad un massimo di 100 mg/l e nei vini bianchi ad un massimo di 150 mg/l.

L’agricoltura biodinamica è basata sulla relazione tra le energie del terreno, degli esseri viventi e cosmiche. Ammette unicamente concimi prodotti da aziende biologiche o biodinamiche certificate e concimi organici, gli insetti dannosi si contrastano con mezzi meccanici, repellenti non chimici o ricorrendo alla lotta integrata con insetti utili, il limite per l’utilizzo solfiti è di 70 mg/L per i vini rossi, 90 mg/L per i rosati ed i bianchi secchi e 60 mg/L per i vini spumanti e quelli frizzanti.

Tra i vini (e le filosofie di produzione raccontate) che più ho apprezzato in fiera:

Il Grignolino “Anarchico” dell’Azienda Agricola Morando Silvio, un rosso strutturato con una sua storia personale: il nome di questo vino è ispirato alla rivoluzione spagnola d’ideale anarchico degli anni 30.

Il Colfondo Anfora Vino bianco frizzante “sur lie” di Casa Belfi, prodotto con metodo biodinamico, affinato in anfora e non filtrato.

Il Secondome bianco e rosso biologico dell’Azienda Agricola Ferraro Maurizio, presentato in anteprima al Live Wine con il motto “Ne foeder moriar” che significa: crediamo in ciò che facciamo e che non siamo disposti a scendere a compromessi per nessuna ragione! La natura va accompagnata, nè controllata, nè gestita.

Strategie di comunicazione: la scelta vegan e il caso Motta

Per elaborare una strategia di comunicazione efficace sono molti i fattori dei quali tener conto, in primis il rispetto per il consumatore. Sarà che l’agenzia che cura la comunicazione della Motta (e che ha elaborato il famigerato spot del panettone..) non ha considerato offensive le parole utilizzate per promuovere il dolce natalizio, sarà che l’intenzione era quella di strappare una risata a chi i vegani li prende in giro tutto l’anno, sarà che pensavano addirittura di estorcere un sorriso anche agli erbivori più convinti, fatto sta che la pubblicità in questione ha creato più problemi che consensi.

Fino a qualche anno fa era in voga in ambiente pubblicitario il detto “che se ne parli bene, che se parli male, purché se ne parli”. Oggi non è più così, il rispetto per il consumatore è diventato il cardine di ogni strategia di comunicazione ben pensata. E se è vero che si deve mirare a convincere soprattutto il proprio target di riferimento (e sicuramente nessun vegano avrebbe comunque acquistato il panettone tradizionale, Motta o non Motta) è bene ricordarsi che viviamo nella civiltà dell’empatia, che spesso offendere il mio vicino equivale ad un’offesa nei miei confronti, che molti di coloro che non condividono una scelta ritengono comunque fondamentale che essa venga rispettata.

“La coscienza empatica si fonda sulla consapevolezza che gli altri, come noi, sono esseri unici e mortali. Se empatizziamo con un altro è perché riconosciamo la sua natura fragile e finita, la sua vulnerabilità e la sua sola e unica vita; proviamo la sua solitudine esistenziale, la sua sofferenza personale e la sua lotta per esistere e svilupparsi come se fossero le nostre. Il nostro abbraccio empatico è il nostro modo di solidarizzare con l'altro e celebrare la sua vita” La civiltà dell’empatia – Jeremy Rifkin
“La coscienza empatica si fonda sulla consapevolezza che gli altri, come noi, sono esseri unici e mortali. Se empatizziamo con un altro è perché riconosciamo la sua natura fragile e finita, la sua vulnerabilità e la sua sola e unica vita; proviamo la sua solitudine esistenziale, la sua sofferenza personale e la sua lotta per esistere e svilupparsi come se fossero le nostre. Il nostro abbraccio empatico è il nostro modo di solidarizzare con l’altro e celebrare la sua vita”
La civiltà dell’empatia – Jeremy Rifkin

Chi invece ci ha pensato bene a come fare una campagna di comunicazione che arrivasse a tutti (perché, in questo caso, il target è veramente molto ampio) è l’organizzazione no-profit Veganuary che ha invaso la metropolitana londinese con manifesti Try Vegan this January – Prova ad essere vegan questo gennaio”. La comunicazione è focalizzata su quanto ci sia di positivo nella scelta cruelty free, utilizza colori vivaci e immagini molto dolci (immaginate la rivolta delle madri se si fossero trovate immagini di un mattatoio in metropolitana andando a prendere i figli a scuola?!). Eccone alcuni esempi:

Chiudo la riflessione con un’altra citazione de “La civiltà dell’empatia” di Jeremy Rifkin (meditate gente, meditate):

La civiltà dell’empatia è alle porte. Stiamo rapidamente estendendo il nostro abbraccio empatico all’intera umanità e a tutte le forme di vita che abitano il pianeta. Ma la nostra corsa verso una connessione empatica universale è anche una corsa contro un rullo compressore entropico in progressiva accelerazione, sotto forma di cambiamento climatico e proliferazione delle armi di distruzione di massa. Riusciremo ad acquisire una coscienza biosferica e un’empatia globale in tempo utile per evitare il collasso planetario?

“Vegano” tra le parole più cercate nel 2016 su Google

Vegano? Vegetariano? Pescetariano? O fruttariano? Gli stili di vita che legano etica ed alimentazione sono tantissimi ma quello che più incuriosisce è il veganismo. Vegan Society ne da una definizione molto chiara: “La parola veganismo descrive una filosofia di vita che esclude – per quanto possibile – ogni forma di sfruttamento e crudeltà contro gli animali per alimentarsi, vestirsi o per qualsiasi altro scopo”.

Il vegano non mangia nessun animale ne si alimenta dei derivati animali. Per derivati si intendono quei prodotti che causano (o possono causare) sofferenza e sfruttamento degli animali.

Il vegano non mangia:

carne: bianca, rossa, cruda, cotta, di pesce, di insetto, di umano e di qualsiasi altro tipo.

pesce: so di averlo già scritto ma in troppi differenziano tra carne di pesce e carne di tutti gli altri animali, quindi meglio specificare.

uova: la “produzione” di uova sottopone le galline (e i pulcini maschi) a sevizie e morte precoce, di conseguenza il vegano non ne consuma.

latte e latticini: oltre al fatto che un mammifero non dovrebbe cibarsi di latte dopo lo svezzamento (soprattutto se proveniente da una mamma di un’altra specie animale), questi prodotti causano sofferenze ai cuccioli (che rimangono senza cibo e devono anticipare lo svezzamento) e alle mamme (che vengono ingravidate continuamente per poter dare latte oltre i limiti naturali).

Miele: i vegani ritengono che la produzione di miele implichi lo sfruttamento e la sottrazione di cibo alle api.

Il vegano mangia: la lista è troppo lunga, ma per rassicurare i curiosi del fatto che i vegani non si cibano solo di verdure vi fornirò qualche esempio.

verdure: tutte.

frutta: tutta.

legumi: tutti.

cereali: tutti.

grassi: tutti i tipi di olio, margarina e i grassi della frutta (ad esempio avocado e datteri)

quelle cose strane mai sentite nominare (ma che trovi sullo scaffale del supermercato sotto casa): tofu, seitan, tempeh, miglio, alghe, soia (latte, yogurt, formaggi e tanto altro), germogli di ogni genere, miso, lievito in scaglie, semi di canapa etc. etc..

veg

Pensate alla cucina tradizionale italiana (la migliore del mondo), molti dei piatti che propone sono vegetariani ed alcuni sono del tutto vegan. Qualche esempio: pesto genovese, ribollita toscana, carciofi alla romana, pasta e fagioli, orecchiette e cime di rapa pugliesi, caponata siciliana, polenta e funghi lombarda, pasta aglio, olio e peperoncino.

 

I Supercibi che non ti aspetti: proteine e grassi vegetali

Quanti di noi, tra vegetariani e vegani, si son sentiti dire “ma le proteine dove le prendi?!”? Tutti. E tutti conosciamo la risposta?

Negli ultimi anni si è imposto il concetto di supercibo ovvero quell’alimento che, da solo, contiene diversi nutrienti molto utili per l’organismo. La maggior parte di questi supercibi sono di origine vegetale e facilmente reperibili nella grande distribuzione o nei negozietti bio che si trovano ormai ovunque.

1 – LE MANDORLE: partiamo dalle cose semplici, le mandorle, come tutta la frutta secca, sono caratterizzate da un alto contenuto proteico (22g per 100g ovvero quasi quante ne ha il petto di pollo). Le mandorle sono ricche di omega 3, manganese, vitamina E, magnesio e triptofano, il che le rende ottime alleate contro il colesterolo.

2- L’ALGA SPIRULINA: chi avrebbe mai potuto sospettare che una delle fonti più concentrate di proteine potesse essere un alga? Con il suo contenuto proteico tra i 55 e i 70gr per 100gr, la spirulina regala oltre il doppio di proteine della tanto osannata  – giusto per citarne una – carne di cavallo (circa 28gr).  Quest’alga è anche ricca di amminoacidi facilmente assimilabili, di omega 3 e 6 che aiutano a proteggere il sistema immunitario e combattono i radicali liberi, di vitamine e calcio (contiene circa 25 volte la quantità di calcio che troviamo nel latte).

3 – I SEMI DI CANAPA: grazie al loro straordinario contenuto di amminoacidi essenziali (leucina, isoleucina, fenilalanina, lisina, metionina, treonina, triptofano e valina) questi semi sono considerati un alimento completo dal punto di vista proteico. Contengono 20 gr di proteine per 100gr oltre ad acidi grassi polinsaturi e omega 3 utili contro colesterolo e trigliceridi alti.

4 – L’AVOCADO: questo frutto è costituito per l’80% da grassi salubri e per il 15% da proteine. Contiene tutti e 18 gli amminoacidi essenziali e generose dosi di acidi monoinsaturi salutari ed acidi grassi essenziali. Anche in questo caso si ha un’azione anticolesterolo molto marcata e, in aggiunta, l’avocado si rivela essere molto utile per il controllo degli zuccheri nel sangue e quindi un supercibo per diabetici e non.

5 – L’OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA: chiudiamo in semplicità parlando di un alimento che in Italia non manca sulla tavola di nessuno. L’olio EVO è ricco di fenoli, sostanze antiossidanti ed antinfiammatorie, e di acidi grassi monoinsaturi anticolesterolo (73gr per 100gr di olio). Per preservarne le proprietà, è consigliato consumare l’olio extravergine di oliva a crudo.

Cucina crudista: gusto e salute

Declinazione del veganesimo, la scelta crudista può essere considerata  sotto diversi aspetti, in questo breve articolo vorrei concentrarmi sulla cucina raw vegan e le sue meraviglie. Coloratissimo, semplice, nutriente e disintossicante, il crudismo mi è stato presentato da Marzia Riva, docente di cucina vegana.

Come si può facilmente intuire dal nome, la cucina crudista non prevede la cottura degli alimenti (solo in alcuni casi e mai oltre i 40°) ma li tratta con maggiore rispetto e mantenendo inalterate le proprietà nutritive, gli enzimi, le vitamine e i sali minerali. In alternativa alla cottura i cibi vengono trasformati con diverse tecniche: germogliazione, fermentazione, marinatura, disidratazione. Gli alimenti che compongono la dieta crudista sono per lo più frutta, verdura (in particolare a foglia verde), semi oleosi, germogli, frutta secca e condimenti (ovviamente in primo piano l’olio d’oliva pressato a freddo).

Burger di funghi portobello e verdure fermentate
Burger di funghi portobello e verdure fermentate

 

Come per ogni cambiamento che affrontiamo, è consigliabile procedere per gradi,un organismo abituato a mangiare cibi trattati potrebbe reagire duramente a una conversione repentina all’alimentazione crudista, regina della disintossicazione. Ma proprio il potere detossinante del raw food è uno dei caratteri che rende questo stile di cucina così interessante: rincorriamo la bellezza e la salute spendendo soldi in macchinari (in questo momento potrei citare la moda degli estrattori) e poi consumiamo zucchero, coloranti, additivi come se non ci fosse un domani. Il consiglio che mi è stato dato è di introdurre un pasto crudista ogni giorno e, cito testualmente, “Non fare la talebana” (tradotto: niente estremismi).

Piramide crudista

La cucina crudista ha una sua piramide alimentare, di fondamentale importanza sono gli ingredienti basic e nutrienti che ritroviamo in diverse ricette: avocado, anacardi e datteri. Meno utilizzati sulle nostre tavole, altri degli alimenti principe del crudismo sono le alghe e i germogli, supercibi ricchissimi di vitamine e Sali minerali. Mi hanno molto colpito i germogli, indicati per gli sportivi e per chiunque necessiti di molta energia, hanno contenuti vitaminici strabilianti (fino a tre volte in più di quelli presenti nella pianta adulta) e proprietà anticancerogene.

Durante il corso tenuto da Marzia Riva abbiamo preparato diversi piatti, ho così scoperto che il raw food è anche incredibilmente semplice da preparare e gustoso da mangiare! I dolci in particolare mi hanno stupita e conquistata (così come sono stati molto apprezzati dagli amici e parenti – onnivori – che ho usato come cavie in alcune cene dopo il corso). Uno su tutti, il mio dolce preferito, i tartufi crudisti: deliziose palline di frutta secca, cacao crudo, cannella e datteri.

Pomodorini ripieni, barchette di belga, cous cous di mare, torta di frutta e tartufi crudisti
Pomodorini ripieni, barchette di belga, cous cous di mare, torta di frutta e tartufi crudisti

 

Vorrei ringraziare Marzia Riva, che potete conoscere meglio visitando il suo portale di cucina La Taverna degli Arna  e Yael Reuveni dello Spazio culturale  MY G che ha ospitato il corso.

COP22: la conferenza di Marrakech sul clima

É cominciata quest’oggi la Conferenza annuale dell’Onu sul Clima COP22, a Marrakech, in Marocco. Questo incontro si rivela cruciale in quanto segue di soli tre giorni l’entrata in vigore formale dell’accordo per la riduzione delle emissioni raggiunto durante la COP21 di Parigi. Il summit, in programma dal 7 al 18 novembre, ha l’obiettivo di definire una strategia che metta d’accordo i governi firmatari sulle modalità con le quali giungere ad una riduzione delle emissioni del 50% entro il 2050 e del 100% entro il 2100.

Sul tavolo anche la particolare questione dell’opzione di compensazione per i paesi maggiormente colpiti dal surriscaldamento, i più poveri, che hanno dovuto affrontare calamità, siccità e inondazioni. Passando poi dai paesi più svantaggiati ai più ricchi, ci si chiede quali sarebbero le prospettive degli accordi di andare a buon fine nel caso in cui il repubblicano Donald Trump vincesse le presidenziali USA.

Trump ha infatti da subito messo in chiaro la sua posizione riguardo ai cambiamenti climatici definendoli come una bufala inventata da chi vuole controllare la produzione e l’energia utilizzata dagli Stati Uniti. La verità è che le paure relative ad una vittoria del candidato repubblicano sono infondate in quanto l’accordo raggiunto al COP21 prevede la permanenza obbligatoria per tre anni dei Paesi firmatari (tra i quali gli Stati Uniti) e il preavviso di un anno in caso di uscita. Se ne deduce che, durando quattro anni il mandato presidenziale USA, anche in caso di vittoria di Trump gli statunitensi non potrebbero esimersi dal partecipare alle attività decise per la riduzione di gas serra.

Alla COP22 di Marrakech verrà deciso anche come dovrà essere il futuro “global stock take”, la revisione quinquennale dei progressi compiuti dai Paesi riguardo agli obiettivi designati pensata per valutare come e quanto i vari governi manterranno le promesse fatte. Attualmente sono 192 i Paesi che hanno ratificato l’accordo, compresi i maggiori produttori di emissioni: Cina e Stati Uniti.

CETA: cos’è e perchè è da evitare

È giunta oggi la notizia della resa dell’ultimo avamposto di opposizione al CETA (Comprehensive Economic and Trade Agreement). La Vallonia, regione belga, avrebbe potuto bloccare l’accordo di libero scambio tra Europa e Canada grazie alla particolarità della costituzione del Belgio che prevede l’approvazione da parte di ogni regione in caso di accordi internazionali (senza questa ratifica si blocca quindi di fatto anche quella europea). La Vallonia ha capitolato questa mattina.

Con l’approvazione del CETA, il commercio UE-Canada cambierebbe radicalmente: verrebbero eliminati il 99% dei dazi doganali. Seppur considerato dal Consiglio europeo un’opportunità per combattere il dilagante imperialismo asiatico e dare forza alle imprese occidentali, l’accordo comporta una serie di problematiche non indifferenti, prima tra tutte la questione della corte di arbitrato, organismo extra-giudiziario deputato a decidere nelle controversie tra stato e imprese, il rischio che ne deriva è che questi “tribunali” finiscano sotto il giogo delle multinazionali facendo terra bruciata intorno alle piccole e medie imprese.

Altre problematiche rilevanti riguardano la sicurezza alimentare, l’impatto sull’ambiente e sui diritti dei lavoratori e dei consumatori. La possibilità di un invasione di prodotti canadesi (soprattutto riguardo carne, lattiero-caseario, manifattura e prodotti agricoli) spaventa le piccole e medie imprese, senza contare che il Canada è tra i primi produttori di falso Made in Italy.

CETA - Il tweet di Greenpeace Italia riguardo l'approvazione del Belgio
CETA – Il tweet di Greenpeace Italia riguardo l’approvazione del Belgio

 

La protesta relativa alla ratifica del CETA si è affiancata a quella contro il TTIP, l’accordo per il libero scambio con gli Stati Uniti, arenatosi circa 15 giorni fa. La Commissione europea ritiene che il trattato possa far crescere l’economia UE di circa 100 miliardi di euro ma le problematiche sono le stesse che riguardano il CETA, aggravate dalla mole del partner in questione: gli Stati Uniti.

 

Per approfondire le tematiche relative al Diritto dell’Unione Europea segnaliamo il testo di Giuseppe Testauro – Editoriale Scientifica (II edizione, 2020).