L’idea degli universi paralleli nasce nel 1957 grazie alla teoria dell’Interpretazione Molti-Mondi di Hugh Everett III, secondo la quale ogni volta che viene effettuata una misurazione quantistica si va a creare un universo parallelo. L’atto stesso di osservare qualcosa ne interrompe lo svolgersi in un’ottica di dinamica quantistica riducendola ad un’unica alternativa percepita e creando dunque varie ramificazioni di possibilità fuori dall’osservato (mondi paralleli).
Nel 2014 è stata poi introdotta, da un gruppo di scienziati australiani e statunitensi, l’ipotesi Many Interacting Worlds (MIW), secondo la quale questi diversi mondi interagirebbero tra loro con forza repulsiva. Sarebbe dunque probabile la creazione di una nuova dimensione ogni qualvolta ci fosse un tentativo di viaggio/passaggio temporale o spaziale per mantenere il più possibile la separazione.
I cunicoli spazio-temporali noti come ponti di Einstein-Rosen (o Wormhole) sono collegamenti fra aree di spazio che possono essere modellati come soluzioni di vuoto nelle equazioni di campo di Einstein, rendendo possibile viaggiare tra mondi paralleli. Questi stretti corridoi interdimensionali non caratterizzati da spazio e tempo sono anche alla base di larga parte della produzione culturale legata ai viaggi nel tempo e ai viaggi tra mondi paralleli.

La produzione cinematografica relativa ai viaggi nel tempo è in realtà incentrata su viaggi interdimensionali, perché se, considerando attendibile la MIW, i mondi sono repulsivi uno con l’altro, compiere un viaggio nel tempo che in qualche modo modifichi le possibilità di un mondo equivale alla creazione di una nuova realtà dimensionale. Quindi, a partire del mitico “Ritorno al futuro” di Robert Zemeckis fino al più recente “Interstellar” di Christopher Nolan, la maggior parte di questi film si riferiscono al viaggio interdimensionale più che al viaggio nel tempo (anche se persino Interstellar, ultimo film uscito relativo a questo genere, mantiene collegamenti con la distorsione temporale, culturalmente più radicata e accettata).

Donnie Darko di Richard Kelly rappresenta una spiegazione magistrale “for dummies” della teoria dei wormhole come veicoli per viaggiare nello spazio tempo. Se è vero infatti che nella dimensione principale Donnie vive 28 giorni in più nel futuro, è anche vero che il motore del boeing che lo uccide invece di risparmiarlo non sarebbe piombato sulla sua casa se non ci fosse stato un wormhole di collegamento con la dimensione nella quale lui era vivo. È dunque probabile che, grazie al fenomeno di osservazione quantistica messo in atto da Donnie vivendo quei 28 giorni, egli stesso abbia creato il mondo parallelo che ha portato poi alla sua morte.

Invece, in Ritorno al futuro il protagonista, Marty, insegue per tutto il film l’obiettivo di mantenere lo status quo del passato in cui è stato catapultato, infatti cambiandolo (cosa che farà involontariamente) rischia di modificare il futuro. Quello che Marty non considera è che la sua stessa presenza come osservatore sta già cambiando il passato. Il concetto, che si ricollega alla teoria dell’effetto farfalla (ovvero l’idea che piccole variazioni nelle condizioni iniziali producano grandi variazioni nel comportamento a lungo termine di un sistema) è stato chiaramente espresso nel 1950 da Alan Turing:
« Lo spostamento di un singolo elettrone per un miliardesimo di centimetro, a un momento dato, potrebbe significare la differenza tra due avvenimenti molto diversi, come l’uccisione di un uomo un anno dopo, a causa di una valanga, o la sua salvezza. »
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